IL COLLOQUIO
«Mafia, fondi Pnrr, illegalità, rifiuti, malgoverno: ecco cosa succede a Catania»: nostra intervista al procuratore Carmelo Zuccaro
Il capo della Procura etnea: «A tanti, in questa nostra città, è mancato il senso del bene comune da far prevalere sugli interessi individuali e su quelli di parte»
Gli appetiti delle mafie si sono risvegliati. I miliardi del Piano nazionale di Ripresa e Resilienza sono una calamita per la criminalità organizzata che a queste latitudini ha dimostrato una capacità affaristico imprenditoriale di altissimo livello. Il procuratore di Catania Carmelo Zuccaro fa un’analisi lucidissima di quello che sta accadendo in questo periodo di forte crisi economica e sociale, sia per il post pandemia sia per la stangata dei costi energetici. Zuccaro è cristallino: «I clan catanesi dispongono sia delle risorse economiche che dei collegamenti con esponenti del mondo politico e con ambienti delle amministrazioni pubbliche che possono agevolare la captazione dei fondi stanziati dal Pnrr».
Il procuratore, nella lunga intervista a La Sicilia, sviscera il “codice genetico” dei sodalizi criminali al centro delle tante indagini a cui lavora e sta lavorando l’ufficio che dirige dal 2016.
Ma c’è anche il tempo di parlare della riforma Cartabia e degli scandali che hanno colpito il sistema Giustizia.
Zuccaro non fa sconti sui buchi neri delle Stragi: «Dalla responsabilità per questi mancati accertamenti neanche la magistratura può ritenersi estranea». La spazzatura è un altro settore che per il procuratore va monitorato da ogni angolo e prospettiva. In un convegno, alcuni mesi fa, ha chiesto ai giornalisti di ritornare a fare il loro mestiere di sentinella. Per Zuccaro non basta raccontare le indagini della magistratura ma bisogna scavare per portare a conoscenza dell’opinione pubblica quello che accade in questa città.
Procuratore, lo scenario socio-economico che si sta pian piano componendo dopo tre anni di pandemia, con la guerra in Ucraina che imperversa e la crisi dettata dalla stangata dei costi energetici, sembra un terreno fertile per l’avanzamento delle mafie. Quali sono i segnali che non dobbiamo sottovalutare?
«Le misure di contenimento della pandemia da Covid 19, pur necessarie per tutelare i beni primari della vita e della salute, hanno indubbiamente causato una crisi economica i cui effetti sono stati ulteriormente aggravati dal considerevole aumento dei costi energetici conseguenti alle sanzioni applicate dall’Unione Europea alla Russia. Tale crisi, che ha colpito l’intero territorio nazionale, ha prodotto conseguenze più gravi nelle regioni meridionali del Paese, ove già il tessuto socio economico è scarsamente sviluppato ed è più facilmente permeabile alle infiltrazioni dei sodalizi mafiosi, che possono contare sulla disponibilità di ingenti capitali derivanti dai traffici illeciti; primo tra tutti ma non unico quello relativo al traffico della droga, in cui il tasso di remunerazione del capitale investito raggiunge livelli impensabili per ogni altro settore produttivo. La finalità di riciclaggio e l’intento di acquisire un maggiore controllo del settore produttivo da parte delle mafie, non più legate solo ad una logica parassitaria e predatoria delle risorse disponibili, ma sempre più caratterizzate da una vocazione affaristico imprenditoriale, fanno sì che parte dei profitti illecitamente conseguiti vengano reinvestiti in iniziative economiche, specie nei settori in cui sono più difficilmente tracciabili i flussi finanziari. I segnali più significativi dei fenomeni summenzionati sono rappresentati dall’aumento delle procedure che disciplinano la crisi d’impresa e dai frequenti mutamenti degli assetti proprietari e manageriali che si registrano nelle società e nelle ditte individuali, nonché dall’acquisizione di una posizione dominante in alcuni settori e in ambiti locali più o meno estesi da parte di imprese direttamente o indirettamente infiltrate dalle mafie, che stravolgono il regime della libera concorrenza e compromettono lo sviluppo dell’imprenditoria sana».
I miliardi del Pnrr sono un piatto molto ghiotto. Secondo lei, se non si usano le armi giuste, la mafia, quella economica e invisibile che non ha i cognomi dei boss che siamo abituati a leggere sui giornali, potrebbe diventare socio in affari dello Stato?
«I miliardi stanziati nell’ambito del Pnrr per l’ammodernamento ed efficientamento delle infrastrutture e dei servizi pubblici rappresentano indubbiamente un’occasione particolarmente allettante per i sodalizi mafiosi per la captazione di risorse pubbliche, aggiudicandosi appalti in settori anche di importanza strategica per l’interesse nazionale. L’ esigenza di scongiurare tali pericoli senza appesantire eccessivamente con controlli burocratici di scarsa efficienza le procedure di realizzazione degli obiettivi fissati dal Pnrr comporta una scelta assai selettiva dei sistemi di controllo e sotto questo profilo appaiono di grande interesse le strategie di analisi dei rischi che stanno sviluppando nel settore dell’utilizzo delle risorse del Pnrr le Forze di Polizia più attente a tali problematiche e che dispongono di una piattaforma informatica con accesso a numerose banche dati. Appare però opportuno chiarire che non esiste una “mafia economica e invisibile” diversa rispetto a quella che opera all’interno dei sodalizi ben noti, bensì è vero che per lo svolgimento delle attività formalmente lecite tali sodalizi si avvalgono di professionisti ed esperti del settore dal certificato penale immacolato, che però non hanno una loro autonoma autorità ma dispongono solo di una “discrezionalità tecnica”, dovendo poi rispondere delle scelte fatte e dei risultati conseguiti agli esponenti di vertice dei sodalizi mafiosi, come dimostrano i casi Sindona e Calvi».
La mafia siciliana, e catanese in particolare, ha la forza economica per poter intercettare questi fondi?
«La vocazione affaristico imprenditoriale che impronta in modo sempre più spiccato le attività dei sodalizi mafiosi ha da sempre costituito un tratto caratterizzante sia la famiglia catanese di Cosa Nostra che alcuni dei più importanti sodalizi mafiosi catanesi come il clan Cappello e il clan Laudani. Si tratta di organizzazioni criminali che hanno da tempo pesantemente infiltrato numerosi settori imprenditoriali e hanno potuto aggiudicarsi appalti pubblici grazie alla collusione con componenti delle enti pubblici – stazioni appaltanti. Questi sodalizi, che sono tutti dediti al traffico di droga e ad altre attività illecite assai remunerative, dispongono sia delle risorse economiche che dei collegamenti con esponenti del mondo politico e con ambienti delle amministrazioni pubbliche che possono agevolare la captazione dei fondi stanziati dal Pnrr. Da qui la particolare attenzione che la Procura distrettuale di Catania riserva a tale problematica, nella consapevolezza che un efficace contrasto alla mafia non può prescindere dalla recisione dei suoi legami con alcuni soggetti che operano nella Pubblica Amministrazione e nell’imprenditoria».
La riforma Cartabia. Era quello che serviva al sistema Giustizia italiano dopo lo scandalo del Sistema Siracusa e lo tsunami Palamara?
«La cosiddetta Riforma Cartabia è costituita da un complesso di provvedimenti legislativi che interessano la riforma del processo civile, quella del settore penale ove sono state inserite profonde modiche sia delle norme di carattere sostanziale che processuale, la riforma dell’ordinamento giudiziario. Quest’ultimo settore è quello direttamente interessato dagli scandali cui si fa riferimento, e la riforma operata sul punto non sembra che sia idonea a scongiurare il pericolo del ripetersi di fenomeni analoghi, sul cui accadimento la stessa magistratura associata non deve esaurire il proprio impegno per individuare e rimuovere le cause più profonde della degenerazione verificatasi e per migliorare i meccanismi di selezione dei candidati».
Questo è stato l’anno del trentennale delle stragi. Una stagione terribile che ha ancora troppi buchi sia processuali che storici. Non ritiene che oltre a fare celebrazioni bisognerebbe guardare con spirito un po’ più critico anche dentro la magistratura?
«I processi sinora celebrati hanno consentito di accertare i reali responsabili delle stragi del 1992 e del 1993 per quanto attiene agli esecutori e ai mandati inseriti in Cosa nostra e negli altri sodalizi mafiosi. Lo sforzo investigativo non può considerarsi esaurito, essendo ancora in corso indagini preliminari per accertare il reale fondamento di alcune piste che rimandano alla presenza di soggetti esterni alle mafie e legati a settori deviati delle Istituzioni quali concorrenti nella fase di ideazione ed esecuzione delle stragi nonché del successivo depistaggio. E’ particolarmente inquietante che a distanza di trent’anni dalla commissione di questi efferati delitti permangano tali zone d’ombra sia perché solo il completo accertamento di tutte le responsabilità ad ogni livello potrà consentire al Paese di considerare chiusa questa dolorosa pagina della nostra Storia rendendo inoffensivi quei protagonisti sia perché in queste zone d’ombra qualsiasi strumentalizzazione politica a fini depistanti diventa praticabile. Dalla responsabilità per questi mancati accertamenti neanche la magistratura può ritenersi estranea e al riguardo appare quanto mai importante che più ampi settori della magistratura condividano una maggiore sensibilità di fronte all’esigenza che il contrasto alle mafie non sia limitato alle sue espressioni militari ma anche ai collegamenti e alle collusioni con ambienti politico-istituzionali e con il tessuto socio economico, che rappresentano poi la vera forza dei sodalizi mafiosi».
L’affare spazzatura. Non ritiene ci sia troppa indifferenza e inefficienza?
«Il settore della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti costituisce, soprattutto nel Meridione d’Italia, un terreno ampiamente infiltrato dai sodalizi mafiosi, che ne ritraggono profitti particolarmente elevati con rischi di conseguenze penali molto limitati. Non v’è dubbio che le scelte compiute dalle amministrazioni regionali del Meridione, gravemente carenti nell’affrontare le problematiche della raccolta differenziata e del ciclo di trattamento dei rifiuti, hanno creato situazioni emergenziali caratterizzate dal sempre maggiore ricorso al conferimento dei rifiuti in discariche gestite da privati e, al loro esaurimento, dalla necessità del trasporto di tali rifiuti fuori dall’ambito territoriale di produzione, dando modo a coloro che gestiscono i predetti trasporti di porre in essere attività illecite tendenti alla massimizzazione dei profitti. Un perverso connubio di incompetenze, negligenze e corruzione hanno pertanto determinato il proliferare di interessi mafiosi nel settore e una situazione di grave compromissione del territorio e dell’ambiente».
Procuratore, cosa spera per il futuro di Catania? E quale è l’augurio di Natale che vuole fare a Carmelo Zuccaro?
«Catania è una città che offre numerose attrattive paesaggistiche e di opere artistiche che rischiano di essere pregiudicate dall’incuria di chi è preposto alla loro tutela. Per vari fattori di carattere storico, sociale ed economico, il catanese medio si connota come una persona estroversa, ospitale, di ingegno vivace e versatile, dotata di un buon senso dell’umorismo ma anche individualista e particolarmente scettica e disincantata nell’affrontare temi di interesse generale. La città e la sua popolazione sono state spesso vittime di malgoverno, di deturpazione dei suoi beni e di gravi atti di discriminazione sociale che hanno colpito le fasce più deboli, determinando una notevole dispersione scolastica, nonché l’emarginazione di una larga fetta di popolazione, lasciata a vivere in ambienti particolarmente degradati e in condizioni che rendono particolarmente difficile il riscatto sociale. I gravi fenomeni della delinquenza organizzata e di quella minorile, nonché la disaffezione nei confronti delle pubbliche istituzioni rappresentano facce diverse di uno stesso complesso e plurisecolare fenomeno che chiama in causa innanzi tutto chi nella città ha ricoperto cariche in ambito politico, amministrativo e in senso più ampio istituzionale, nonché i più autorevoli esponenti del mondo delle professioni e dell’economia. In tanti è mancato il senso del bene comune da far prevalere sugli interessi individuali e di parte, e in molti di più è mancata la fiducia nella possibilità che la qualità della vita possa cambiare a partire dall’impegno di ciascuno in ogni momento della propria vita sociale. Il mio augurio è quindi quello che gli “uomini di buona volontà” possano essere sempre più numerosi e impegnati nell’opera dl riscatto morale e di sviluppo sociale della città, che merita molto di più di quello che sinora le è stato dato da chi ne aveva il potere. Questo è l’augurio che formulo anche a me stesso come cittadino e come servitore dello Stato, che ha avuto il privilegio di guidare una Procura particolarmente dedita alla tutela della legalità affinché la forza della legge prevalga sulla legge della forza, con la piena consapevolezza però che l’impegno giudiziario, da portare avanti senza alcuna remora e senza alibi, è comunque destinato ad essere vanificato se il desiderio di giustizia e di legalità non si traduce in un costante impegno condiviso dai cittadini». COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA