Luca e le 42 coltellate a Giordana, l’urlo della mamma della ragazza: «Ora sconti la pena fino all’ultimo»

Di Carmen Greco / 29 Gennaio 2019

CATANIA – Vera Squatrito non ha mai creduto nella tipica frase politically correct “ho fiducia nella magistratura”, perché sua figlia Giordana, uccisa a vent’anni a Nicolosi dall’ex compagno, alla magistratura si era affidata – denunciandolo – senza arrivare a nulla. Ma forse, da ieri, un po’ di fiducia se lo sono guadagnato ai suoi occhi i giudici della Corte d’assise d’appello di Catania che hanno confermato i 30 anni di carcere per Luca Priolo (anche ieri assente in aula).

«Quando è arrivato il momento del verdetto ho guardato in alto ed ho fatto il segno della croce – dice Vera Squatrito – Avevo paura. Paura che gli dessero qualche sconto di pena, così come mi è capitato di vedere in altri casi del genere. Ma così non è stato, anche se so che questi 30 anni non se li farà mai. In questi tre anni ha fatto di tutto per riconquistare la libertà, denigrando mia figlia, diffamandola, quasi come se lei se la fosse cercata questa morte atroce».

Adesso cosa si augura?
«Spero solo che questi 30 anni se li faccia tutti e che in questo periodo stia veramente male…».

Le è tornata un po’ di fiducia nella giustizia?
«Oggi sì (ieri, nda), questa sentenza ha ridato dignità a mia figlia. Ma vorrei ricordare che Giordana aveva denunciato e non è stata compresa. Il mio scetticismo partiva dal presupposto che con tutte le agevolazioni di legge che ci sono, anche lui avrebbe trovato il modo per ribaltare la legge a suo favore e sfuggire alle proprie responsabilità. Noi vittime non siamo niente, siamo spettatori della morte delle nostre figlie, anche in un’aula giudiziaria».

Però non è accaduto…
«Il fatto che non gli siano state concesse le attenuanti generiche – perché del resto non le meritava – mi fa sperare che comunque un cambiamento stia avvenendo nel nostro Paese. Anche il rito premiale (il rito abbreviato che consente lo sconto di un terzo della pena ndr) oggi viene messo in discussione. C’è una proposta di legge alla Camera in questo senso e la possibilità che, nel caso degli omicidi, possa essere eliminato, è molto vicina».

Se fosse lei a decidere che farebbe?
«Penserei alla certezza della pena. Trent’anni? Che siano trent’anni, dal primo fino all’ultimo giorno. Non si può consentire che un assassino in carcere si “faccia il conto” di quali escamotage possa mettere in atto per manipolare la legge ed ottenere sconti di pena. Chi uccide ed è in carcere, sa cosa fare per evitare di espiare le pene per intero e questo non si può accettare».

Con quale spirito affronterà la Cassazione?
«Questa conferma è stata importante soprattutto psicologicamente. Il fatto che la sentenza sia stata confermata rafforza quello che aveva detto la gip nel primo grado e questo significa che, forse, un passo avanti è stato fatto. Sono convinta che in Cassazione i giudici abbiano ben poco da valutare: è tutto scritto lì, nero su bianco».

Sua nipote Asia ha compreso cosa stava accadendo in questi giorni?
«Io sono convinta che lei capisca (ha sette anni ndr) perché quando mi vede un po’ agitata, per quanto io possa far finta di niente per nascondere le mie emozioni, mi domanda sempre. Oggi quando mi ha visto così mi ha chiesto, nonna stai andando a lavorare per la mamma? Non le ho detto una bugia, le ho risposto di sì».

Lei ha fondato l’associazione “Io sono Giordana”, quant’è difficile far passare il messaggio contro la violenza di genere?
«È complicatissimo. Da quando è morta Giordana ho cercato in tutti i modi – anche perché sono convinta che lei mi abbia lasciato questa eredità – di spiegare, di partecipare ai dibattiti, di andare nelle scuole. Ai ragazzi leggo i suoi scritti, in fondo sono i pensieri di una ragazza che ha perso la vita e che ha conosciuto la violenza. Purtroppo, spesso, mi è capitato di parlare con tante donne che all’atto di una denuncia, si sono poi tirate indietro. Le donne non si sentono rassicurate dalla legge sullo stalking, in realtà si sentono sole, non si sentono cautelate. Abbiamo incontrato anche il ministro Bonafede e gliene ho parlato. Non è possibile che una donna che ci metta la faccia si ritrovi ancora di più in pericolo. E questo perché il meccanismo previsto dalla legge, prima di attivarsi, lascia libero lo stalker. Ci si concentra sulla denuncia ma non sul soggetto che viene lasciato libero di alimentare la sua rabbia. Abbiamo chiesto tramite l’Associazione delle “integrazioni” al codice rosso per i casi di femminicidio. Per esempio, attenzionare il soggetto maltrattante all’atto della denuncia, entro le 72 ore successive. Se esistono delle eventuali patologie a livello psicologico, se ha della rabbia repressa, magari va accertato “prima” e non dopo la morte delle donne».

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Pubblicato da:
Redazione
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