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UN CASO MOLTO "ETNEO"

L’incontro proibito tra l’avvocata e la giudice: la consigliera Natoli lascia il Csm

«Consigli» alla magistrata sotto processo. Il ruolo decisivo nel risiko Catania

Di Mario Barresi |

Magari era un destino già scritto. Da «principessa del foro delle cause per sfratto», come la definiscono con perfida ironia alcuni suoi blasonati colleghi etnei, allo “sfratto” dal Csm. In mezzo c’è di tutto, nella vorticosa ascesa e nella rovinosa caduta dell’avvocata paternese Rosanna Natoli componente laico di FdI.Partiamo dalla fine. Ieri Natoli s’è dimessa dalla commissione disciplinare del Csm. Per una vicenda, rivelata ieri da Repubblica, dalla matrice molto etnea.

Martedì scorso, in commissione disciplinare del Csm si tiene un’udienza sul procedimento a carico di Maria Fascetto Sivillo, giudice del tribunale di Catania, condannata a Messina a tre anni e sei mesi perché avrebbe «abusato della sua qualità e dei suoi poteri, compiendo più atti idonei e diretti in modo non equivoco a costringere funzionari di Riscossione Sicilia Spa alla cancellazione di procedure esecutive contro di lei intentate». Un caso sollevato da La Sicilia: l’autore dell’articolo e il direttore furono querelati per diffamazione dalla giudice e poi archiviati nonostante l’opposizione della controparte.

Al Csm martedì il “tribunale dei giudici” affronta l’aspetto disciplinare del processo penale: Fascetto Sivillo era stata sospesa dal servizio; poi in parte riabilitata e infine nuovamente incolpata con la perdita di un anno di anzianità. Non è la prima grana per la toga catanese: al ministero della Giustizia c’è una certa quantità di fascicoli, custoditi in quello che viene definito «l’armadio Fascetto». Ma proprio nel caso in questione, la giudice è certa di avere ragione.

Il colpo di scena di materializza in commissione, dopo che il suo avvocato Carlo Taormina chiede la revoca della misura cautelare della sospensione dello stipendio. Fascetto Sivillo prende la parola: «Ho una cosa grave da raccontare». E cioè di aver incontrato, qualche mese fa, la laica Natoli nel suo studio di Paternò e di aver ricevuto da lei dei «consigli» su come difendersi dall’incolpazione al Csm. Tutto rigorosamente registrato da Fascetto Sevillo: l’avvocato Taormina ha consegnato una chiavetta usb e 130 pagine di trascrizioni nelle mani del vicepresidente del Csm Fabio Pinelli.

«La sua causa l’hanno perorata in tanti», ammette la consigliera. Che si mostra sensibile: «Guardi, mi sono presa ‘sto processo perché è amica dei miei amici. Questa situazione la dobbiamo risolvere, però lei ci deve dare una mano». Infine, l’ammissione: «Sto violando il segreto della camera di consiglio».Il comitato di presidenza ha quindi deciso di inviare le carte alla Procura di Roma per la verifica di eventuali reati. «Contro di me hanno fatto delle porcherie inenarrabili: sono tutti corrotti», va ripetendo da mesi ai pochi che a Piazza Verga non le hanno fatto terra bruciata attorno, anche dopo le sue pesanti (ancorché tutte da dimostrare) denunce sui colleghi: «Ho le prove: li faccio saltare tutti in aria», la minaccia.

Minaccia che coinvolge anche altri, diventando il nuovo Palamara-gate alla Norma?Adesso arriveranno le dimissioni dal Csm. Con uno scontato risvolto di veleni politici: Natoli, già consigliera e assessora comunale, è di Paternò ed è da sempre politicamente vicina a Ignazio La Russa, a cui tutti attribuiscono la sua incoronazione. Suo socio di studio è Pippo Failla (pure lui registrato nel colloquio “incriminato”), storico esponente della destra paternese anch’esso legato alla famiglia del presidente del Senato, nominato nella commissione paritetica Stato-Regioni sempre in quota FdI. Anche se c’è chi nel partito sostiene che la nomina di Natoli risponda «anche ad altre logiche nazionali»: a Roma la ricordano da componente del comitato etico di garanzia già agli albori del partito di Giorgia Meloni, di cui è stata membro dell’assemblea nazionale.

Eppure nel caso Natoli c’è un altro elemento: il peso che la laica meloniana ha avuto nel complicatissimo risiko sul nuovo procuratore di Catania, concluso proprio mercoledì dal plenum del Csm con la scelta di Francesco Curcio. L’avvocata è stata protagonista, direttamente o indirettamente, di una serie di eventi che hanno condizionato la sconfitta dei tre procuratori aggiunti catanesi. Dapprima ha alzato il muro sul favorito Sebastiano Ardita (litigando con l’altro laico meloniano catanese, Felice Giuffrè, big sponsor dell’ex direttore del Dap), ritenuto «troppo grillino» nonostante i suoi trascorsi adolescenziali e il corteggiamento di tutto il centrodestra locale che l’avrebbe voluto sindaco di Catania.

Poi Natoli, con la sponda di altri laici e di Mi, s’è intestata l’alternativa: Ignazio Fonzo, sul quale però la destra s’è esposta sin troppo, fino a far passare quella di un magistrato di livello, stimato trasversalmente, come una nomination di La Russa (che ha smentito). Infine, il plenum di mercoledì. Il voto di Natoli avrebbe fatto vincere l’ultimo aggiunto catanese rimasto in gara: Francesco Puleio. Battuto al fotofinish (13-12) da Curcio, in caso di pareggio avrebbe prevalso per anzianità. I laici di centrodestra votano quasi in blocco per Puleio, Natoli è fra i quattro assenti in plenum.

E qui si apre un giallo: dopo lo scandalo in disciplinare, a Natoli sarebbe stato «vivamente consigliato» di non presentarsi l’indomani in plenum, per evitare «uno sputtanamento nazionale in diretta su Radio Radicale», con un copione già scritto: molti dei membri togati avrebbero abbandonato la seduta in segno di clamorosa protesta. Lei non s’è presentata. Ma 24 ore dopo il caso Natoli è finito sui giornali. Quando ormai i giochi, per Catania, erano fatti.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA