Catania – Un anno dopo l’attentato che l’ha distrutta con il fuoco la Club House dei Briganti di Librino è più bella ed efficiente di prima. I volontari, pure sgomenti, avevano annunciato subito che non avrebbero fatto alcun passo indietro. E hanno mantenuto la parola, forti del sostegno del quartiere, della città e di tutta Italia. E non solo. L’aiuto alla ricostruzione, attraverso la rete dei club di rugby, è arrivato anche dall’Inghilterra, dalla Norvegia e dalla Francia. La squadra è stata invitata a giocare in molte città d’Italia: a Monza, a Modena, a Bologna, a Milano, dove i ragazzini sono stati ricevuti anche dal sindaco. E in ogni incontro il ricavato delle quote d’iscrizione o dei concerti e delle iniziative fatte per il “terzo tempo” conviviale sono stati destinati alla rinascita della sede dei Briganti Rugby di Librino.
Già la domenica dopo l’attentato, nella grande e affollata assemblea tenuta al Campo liberato San Teodoro, gli Scouts della provincia decisero di fare una catena per cominciare a ripulire una delle due palestre vandalizzate destinata a diventare la sede della nuova Club House. E tanti altri, nel corso dei mesi, hanno dato il loro contributo, in varie forme, per raggiungere questo obiettivo. C’è chi ha messo a disposizione competenze e braccia per sostituire con pannelli di compensato i tanti vetri rotti, chi ha lavorato per disporre lungo le pareti le numerose librerie avute in regalo, anche da Ikea, chi ha disposto le migliaia di libri portati in dono, chi ha realizzato – un gruppo di Ravenna – due magnifici murales scelti con una consultazione on line.
Adesso la Club House è un posto dove i giovani giocatori di rugby, i loro fratellini e genitori e le persone che curano gli orti sociali attigui al campo, vanno con piacere a giocare, a studiare, a prendere qualcosa al bar, a seguire un concerto o la presentazione di un libro. C’è lo spazio bar, attiguo alla cucina, attrezzato con tavoli e sedie dove le squadre che si sono sfidate cenano insieme nel “terzo tempo” della partita. C’è la zona ufficio dove sono conservati i documenti del club, i certificati medici, le tessere. C’è la sala lettura con comodi divani e tavolini bassi, la Librineria dedicata ai bambini ricca di giocattoli, colori, oggetti da intrattenimento e, sul soppalco offerto dal Soroptimist, la zona studio dove i ragazzi fanno il doposcuola, magari dopo la partita (il campo, dove si alternato tutte le categorie, è aperto tre volte a settimana dalle 16 alle 23). E poi c’è una videoteca con 1500 Dvd e un archivio di 300 giochi da tavolo, entrambi donati dalla St che ha fatto una raccolta tra i propri dipendenti. Le pareti di questo spazio amplissimo e luminoso sono abbellite da disegni, striscioni di tante battaglie contro il razzismo e per la pace e dalle bandiere dei “No Ponte”, “No Tav”, “No Muos”, simbolo di tante lotte portate avanti anche dai giocatori adulti che ogni anno, a maggio, arrivano al Campo San Teodoro Liberato dove si tiene il “Torneo nazionale old” cui prendono parte rugbisti da tutta Italia, attivisti nei rispettivi territori.
Nello spazio attiguo alla grande sale, quella che anche prima dell’incendio era la palestra del club è stata arricchita da molti attrezzi per l’allenamento e per il riscaldamento, compresi pesi, panche, cyclette e tapis roulant. In questa palestra, tre volte a settimana, i Briganti Rugby ospitano i giovani che aspirano ad entrare nel corpo dei vigili del fuoco e che vogliono allenarsi per affrontare in forma il concorso e la selezione.
Un lungo anno “resistente”, come lo definiscono i protagonisti di questa straordinaria avventura che ha colpito l’opinione pubblica. E adesso, dopo 365 giorni di lotta e dopo questa sorprendente rinascita, i Briganti possono cominciare a trarre delle conclusioni. «Se il vecchio locale è stato dato alle fiamme, e si è trattato di un vero e proprio attentato – ragiona Piero Mancuso, responsabile tecnico e uno degli allenatori dei Briganti Rugby – evidentemente c’è stato un motivo importante, tale da generare un’azione così violenta. E questo vuol dire che quello che stiamo facendo ha un senso. Il messaggio che ne abbiamo tratto è stato non solo di non fare alcun passo indietro, ma di intensificare le nostre attività. E ancora. La reazione di centinaia e migliaia di persone a questo atto dice anche che c’è ancora una parte del Paese capace di alzare la testa. In questo momento non è la maggioranza. Viviamo in un periodo molto buio e non solo dal punto di vista politico, c’è un individualismo estremo e diffuso, ma ci sono anche tante persone che hanno immediatamente reagito di fronte allo schiaffo che ci hanno dato, a noi e a quanti come noi vogliono impegnarsi. Cosa che non ci aspettavamo in queste dimensioni. Questo ci dice che c’è ancora speranza in questo Paese imbarbarito. Il nostro è un laboratorio dove progetti ed esperienze nascono dalle relazioni. Si ritrovano insieme ragazzi che fanno allenamento, altri che studiano, bambini che giocano, gli ortolani che curano un fazzoletto di terra, e tutti fanno parte di una comunità che si rispetta, tutti cercano di capire le esigenze degli altri e di costruire relazioni positive ed è da queste che nascono i nostri progetti».
Foto di Orietta Scardino