Catania
Le parole dei ragazzi per raccontare un anno diverso
CATANIA – Chiunque in questi mesi difficili, si è sentito in dovere di commentare, di dire qualcosa. Addetti ai lavori e non. Riflessioni-sfogo affidate il più delle volte ai social. Disamine sulla psicologia da lockdown, se e quanto ci abbia cambiato, se e quanto ricorderemo questa esperienza. Nessuno lo ha chiesto a chi, la vita, l’ha avuta davvero stravolta: chi va a scuola. Bambini e maestre, alunni e prof. Loro, più di tutti noi, hanno affrontato da un giorno all’altro una situazione del tutto anomala, studiando grazie ad un computer, sperimentando la Dad, la didattica a distanza, un acronimo fino ad ora sconosciuto.
Di tutto questo bisognava tirare le fila. L’ha fatto la prof Pina Arena, dell’Iis “Vaccarini” di Catania che ai suoi studenti ha chiesto di mettere nero su bianco le impressioni di un anno diverso, il “sugo della storia” come l’ha chiamato lei citando Manzoni. Un “sugo”, in realtà cucinato ogni anno, ma che in questo 2020 ha un sapore completamente nuovo.
«Ogni anno di scuola insegna e le parole devono tenere memoria dell’esperienza – spiega la prof Arena – di incontri con le persone, con i saperi, con il mondo che cambia, perché alla fine di ogni anno scolastico si è tutte e tutti diversi, perché con quella parte nuova e antica di noi ci si possa confrontare dopo, anche fra dieci, venti o trent’anni. Così, a giugno, da trent’anni, chiedo alle mie alunne e alunni di tutte le classi di scrivere su quello che questo tempo condiviso ha lasciato, insegnato, portato via o donato loro. Sarà una riga, saranno tante righe. Sarà un ricordo o un racconto. In libertà. Non è un compito, non sarà valutato. Ognuno dona all’altro i suoi pensieri, le proprie riflessioni, le proprie parole. Quest’anno, in questo tempo diverso, faticoso, di discese e risalite, di necessarie aperture al nuovo, di baratri insondabili, di perdite e distanze, di vuoti da riempire in modo nuovo, in cui la scuola si è reinventata, il ”sugo della storia” era ancor più necessario.
Ho proposto un gioco in parte diverso: riflettere sulla propria esperienza di vita e di scuola dei mesi primaverili segnati dall’emergenza, attraverso la descrizione di una sola parola. Ho proposto le mie parole: abbracci, vulnerabilità, condivisione, limite, responsabilità, speranza. Avrebbero potuto aggiungerne altre, se avessero voluto. Sono arrivate così le loro parole. Tante, libere, poetiche, timide o audaci, tutte autentiche e coraggiose».
Queste le parole scelte dalla prof Arena e i commenti dei ragazzi.
Affetti e abbracci
Nessuna tecnologia, nessuna medicina è riuscita a fermare il virus. Tutto è stato modificato e ridimensionato. Solo gli affetti ne sono usciti fortificati (Davide 14 anni).
Quando fuori tutto è buio, pensare che qualcuno ti vuole bene è l’unica luce. Come per Renzo che, nella peste, continua a cercare Lucia e la trova (Chiara 14 anni).
Sono il sale. Li davo per scontati. Come l’aria, ci sono e li respiri senza capire. Se mancano, soffochi (Giuliano 17).
Non potremo abbracciarci, ma quanto sarà bello scambiarci almeno gomitate (Andrea 17).
Speranza
È stata la parola che mi ha fatto compagnia: salire e scendere, risalire. Perderla, ritrovarla. Ora lo so: è una compagna che non devi mai lasciare (Anna 14).
Sperare vuol dire attendere e fare cose nell’attesa. Ho capito che chi spera fa. E allora diventa anche solidarietà (Luca 16).
Responsabilità
È una mascherina che copre il naso e la bocca, anche se hai caldo, anche se la voce arriva velata (Giovanni 14).
Penso al pesciolino che nuota ora nell’acqua pulita della laguna di Venezia. Se l’acqua si oscurerà di nuovo, chi ne risponderà? Noi, tutti. Di chi sarà la colpa? Nostra, di tutti. Quel pesciolino sono io, e ogni altro compagno. Tutti siamo sempre noi (Martina 15).
Irresponsabilità
È una mascherina che diventa sottomento. Vorrei chiedere: Perché? A chi giova? (Giovanni 14).
Quella mascherina ed i guanti di plastica lasciati cadere per terra (Claudio 14).
Bellezza
La scopro ora. Gli occhi pazienti della mia gatta, il fiore rosso della piantina grassa, l’odore dell’aria pulita (Claudia 15).
La risata allegra della prof quando qualcuno dice una cosa stramba (a distanza lo sento più che da vicino, o forse ora sono più sensibile (Emilia 14).
L’odore del pane fatto in casa. Non lo conoscevo prima (Damiano 15).
Vulnerabilità
Immaginare, la sera, quando chiudi gli occhi, che domani sentirai la voce del nonno, com’era prima, e ti darà coraggio. Non ho potuto salutarlo. Se n’ è andato e non ho potuto esserci. Ed io ancora vorrei sentirmi dire da lui ”E dai, sorridi” (Matteo 14).
Un’immagine che ho ancora negli occhi: i carri militari di Bergamo che portano via le persone morte. Ho pianto anch’io per loro, per noi. Non avevo mai pensato la morte provando compassione per tutti noi (Elisa 18).
Condivisione e compassione
Mi mancano i miei compagni: lo stare insieme, anche senza far niente. Condividere semplicemente l’essere umani e il volersi bene (Filippo 16).
Tenere tutti la mascherina (Delfo 14).
La paura di ammalarmi, che si ammalasse qualcuno a me vicino, che si ammalasse qualcun altro che neanche conosco (Leonardo 14).
Limite e fragilità
Chiusa in casa , sono entrata davvero in relazione con il mondo , con gli estranei, con persone sconosciute. Tutte sulla stessa barca. Tutte quante a condividere una comune condizione di fragilità (Alessia 18).
Noi abitiamo il mondo, non lo possediamo. Che presunzione sentirci centro del mondo! Siamo chiusi nelle nostre case perché abbiamo superato il limite e dal limite dobbiamo ripartire, umili, riconoscendoci fragili (Vincenzo 18).
Natura
In un’operetta morale Leopardi immagina che un folletto ed uno gnomo un giorno scoprono che l’umanità non fa più rumore e non c’è più, non esiste più. Ecco, siamo qua. L’umanità presuntuosa e convinta di essere il centro: non lo siamo. Siamo ospiti. Conoscere il limite ci salverà (Filippo 17).
Ho imparato a guardare il cielo. E a ringraziare Dio, la Natura, perché è così bello. Prima lo vedevo, ma non lo guardavo . Che meraviglia! (Vittoria 18).
Scuola
Sapere, studiare, conoscere, incontrare l’umanità, la poesia, Dante, ridere insieme, capire, ragionare, sognare: la scuola è la stata la nostra compagna nel tempo della pandemia! Mai avrei immaginato che mi sarebbe mancata tanto (Francesco 18).
Solo una parola: grazie (Lorenzo 18).
Gratitudine e memoria
Non voglio dimenticare niente di questi mesi: l’attesa, la paura del contagio, i telegiornali no-stop-covid, la scuola su uno schermo, la voce dei prof, le risate dei compagni oltre lo schermo, niente abbracci, niente merende insieme, il senso di vuoto, i medici che curano persone senza parenti. La poesia di Dante (Daniele 18).
Non sento più nessuno ringraziare i medici e gli infermieri. Perché? Abbiamo dimenticato tutto (Vittorio 14).COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA