Laura e Paola: due storie oltre il dolore

Di Rossella Jannello / 14 Ottobre 2019

Catania – In fondo è semplice, o così dovrebbe essere. Basta parlare e scrivere di loro parlando e scrivendo di una persona. Perché Laura, Paola e gli altri questo sono: persone con una disabilità. Una disabilità che si coniuga con mille storie. È’ stata la cornice del secondo workshop “Il giornalismo che verrà” della Fondazione Dse e di Sicilian Post, che si è svolto sabato 12 ottobre, nella Scuola superiore di Catania dedicato a “Disabilità e informazione” a permettere a Paola Tricomi, 28 anni, dottoranda alla Normale di Pisa in Letteratura italiana e a Laura Salafia, 43, collaboratrice de “La Sicilia” e autrice del volume “Una forza di vita”, di raccontare la loro storia: a muso duro, a volte, ma mai banalmente. Senza sentirsi né vittime né eroine, ma, appunto solo delle persone.

Laura Salafia, disabile dal 2010 quando fu colpita da un proiettile vagante in piazza Dante, racconta di due vite. «C’è la vita di prima, quella attiva e uguale a tante altre e poi c’è il proiettile che quella vita ha fermato per sempre, trasformandomi in persona tetraplegica. Dall’anonimato sono passata a essere oggetto di tanti racconti, di tante storie, finché, grazie ai giornalisti de “La Sicilia”, ho cominciato a parlare/narrare io in prima persona, diventando soggetto attivo, parlando nella mia rubrica non solo di disabilità, ma anche di cultura e di società. Attraverso la scrittura riesco a dare ai lettori un punto di vista diverso, anche attraverso la finestra di casa mia dalla quale guardo al mondo».

«Nel fare della mia vita un’altra vita – ha continuato – ho dovuto affrontare tante difficoltà emotive ma ho scoperto attraverso le persone che si occupano di me la bellezza di affidarsi agli altri. E ho scoperto anche le tante barriere architettoniche che non mi permettono nelle rare volte in cui esco di passeggiare in strada. E ho scoperto anche come sia importante il rapporto fra disabilità e informazione, spesso infarcito di deprecabili stereotipi e di paternalismo».

Da Laura a Paola, persona con disabilità dalla nascita, che usa un’arma terribile, l’ironia. «Dovrei essere qui, nella scuola dove mi sono laureata, per parlarvi di Dante e invece vi parlo di disabilità. E questo vuol dire che di questo tema c’è ancora bisogno di parlare, e non va bene. Vedete – ha aggiunto – io sogno un mondo dove la persona disabile non esiste più ma esiste solo la persona. Aspiro a un mondo dove ognuno possa raggiungere i propri obiettivi e colmare i suoi bisogni. Quando ho cominciato l’università, a vent’anni, non avevo il mezzo per raggiungere l’Ateneo, le aule erano inaccessibili e l’assistenza inadeguata. Protestavo e mi si rispondeva, per trovare le soluzioni ci vuole tempo. Ma io ora ho vent’anni, rispondevo, e ora devo costruire il mio futuro. Sono esigente, è vero, ma chiedo solo che a fronte dei tanti sforzi che ho fatto mi diano quello che mi spetta, a me come a tutte le persone. Io aspiro a un mondo – ha concluso – dove nessuno fa caso alle differenze».

Insomma, parole non a caso su un tema, quello della disabilità che come ha ricordato durante il workshop coordinato da Orazio Vecchio (Ufficio stampa azienda Cannizzaro), la giornalista Ornella Sgroi, giornalista e blogger di InVisibili del Corriere della sera, “che soffre anche di un tipo speciale di barriere, quelle linguistiche, con un tipo di approccio giornalistico spesso disattento alla dignità della persona”. Come raccontare la disabilità allora? Vale una regola deontologica su tutte: “Considerare nell’informazione la persona disabile come fine e non come mezzo”, come scrisse nel suo decalogo Franco Bomprezzi.

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Redazione
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