«Sono nato in Brasile nel 1974, in una famiglia ebrea, con padre egiziano e madre polacca. Il mio bisnonno materno, Moses Zeev Pintchowsky, è stato uno dei fondatori di una delle sinagoghe ashkenazite più antiche del Brasile, chiamata Ahavat Reim». Gilberto Ventura, rabino chefe di Catania, sta trascorrendo il suo arrivo nella campagna chiaramontana in attesa di trasferirsi e iniziare il suo lavoro. «Sono stato invitato ad assumere l'incarico di rabbino capo della città di Catania a nome della Comunità ebraica locale e di tutti coloro, discendenti e non, che hanno il desiderio di saperne di più sull'ebraismo, sia in termini di conversione (ritorno), sia semplicemente per apprendere e arricchire la propria cultura storica e spirituale».
A 531 anni dall’Inquisizione che nel 1492 costrinse gli ebrei a lasciare la Sicilia, lui è il primo rabbino chiamato a svolgere un ruolo di riferimento per la comunità ebraica locale. E non solo. «Il nostro lavoro, in collaborazione con rabbi Amsalem e rabbi Scialom Mino Bahbout, si svolgerà nella Sinagoga di Catania dove, oltre alla liturgia e alle feste dello Shabbat, si svolgeranno studi sulla Torah, corsi di ebraico, cultura». Si racconta in inglese riuscendo a intercalare le frasi con termini portoghesi, ebraici, italiani e persino siciliani, con gli occhi che a tratti si perdono nel sorriso accogliente della sua inseparabile moglie Jacqueline, madre dei suoi tre figli adulti rimasti in Brasile, che con lui condivide naturalmente pensieri e giorni. Rab Gilberto, abbigliamento europeo e kippah (lo zucchetto rituale che i maschi ebrei portano in testa, per rispettare la prescrizione di non presentarsi a capo scoperto dinanzi a Dio che è obbligatoria in sinagoga), si fa capire anche con i gesti che rimarcano le sue origini italiane. Ama la musica e canta predicando love and peace in una band multietnica e multireligiosa. Usa i social per scambiare opinioni con la sete di sapere e soprattutto convinto che «comunicare cambia l’ottica, le persone e il mondo». Non conosce confini fisici né mentali e l’essere straniero non gli appartiene perché l’accoglienza rende casa ogni luogo. E’ per questo molto orgoglioso del mix delle sue origini. «Per quanto riguarda l'origine paterna, è importante sottolineare che entrambi i cognomi sono di origine italiana, Ventura e Mattatia, famiglie che hanno lasciato l'Italia secoli fa, sicuramente a causa delle persecuzioni, e che sono arrivate a Corfù, in Grecia e successivamente in Egitto. Dall'Egitto, una parte della famiglia è arrivata a Milano, dove vivono ancora oggi (ancora non li conosco), e l'altra, dopo qualche mese in Italia, è immigrata in Brasile».
E lui è brasiliano di San Paolo anche se si affretta a precisare che qui in Sicilia si è sentito subito a casa perché «oltre all'accoglienza della gente, mi sono imbattuto nelle stesse espressioni che sento usare da mio padre fin dalla mia infanzia – Mamma mia bella! Mangia che ti fa bene! Abbastanza! – e così via. La lingua italiana era ancora parlata dai miei nonni in Egitto dopo secoli di esilio, ed è così che mi è giunta. Un'altra coincidenza importante riguarda il mio test del Dna che ha indicato il 20% di origine italiana, di cui il 14% proprio dalla regione Sicilia, dove io e mia moglie Jacqueline abbiamo ricevuto l'invito a lavorare per conto di coloro che hanno ritrovato le proprie origini ebraiche e cercano di risvegliare le radici ebraiche della Sicilia».
La sua formazione rabbinica iniziò a 18 anni a Gerusalemme. Anni di studio fino all’ordinazione. «Dopo esserci sposati, io e mia moglie siamo tornati in Brasile, dove abbiamo insegnato a bambini e adolescenti per oltre 20 anni in alcune delle principali sinagoghe e scuole ebraiche di San Paolo». Non vuole guardare indietro se non per arricchirsi culturalmente e spiritualemte: «Le storie del passato non devono essere il fulcro, ma strumenti per costruire una realtà migliore per tutti, indipendentemente dalla religione o dall'origine». Purtroppo, non tutti la pensano come lui. L’antisemitismo rimane un inspiegabile virus che il tempo non riesce a estirpare. Anche se è guardandosi negli occhi che ci si vede uguali. «Lo sguardo ha il potere di annullare la violenza – dice rav sorridendo – and I am a dreamer . Circa 20 anni fa sono stato oggetto di un attacco antisemita all'angolo della strada in cui vivo a San Paolo. L'aggressore mi ha definito straniero, in quanto ebreo. Dopo avergli risposto che oltre ad essere brasiliano ero anche tifoso del Corinthians (una dellesquadre di calcio più seguite del Brasile) cosa che lo ha letteralmente lasciato senza parole, ho capito che dovevo trovare una risposta migliore. I 1.200 studenti ebrei a cui insegnavo avrebbero dovuto essere meglio attrezzati di me per rispondere a questo tipo di provocazioni. Fu allora che mi ricordai di aver sentito dire che i primi portoghesi arrivati in Brasile erano accompagnati da due o tre ebrei. Quindi a chi ci chiamava stranieri bastava dimostrare che siamo stati qui sin dalla "scoperta". Con il supporto dei discendenti, furono svolte da mia moglie Jacqueline ricerche genealogiche e studi documentali negli archivi dell'inquisizione. Nel frattempo, abbiamo continuato con le nostre campagne a favore dei bisognosi, le azioni sociali nelle periferie e la creazione di legami di amicizia e interazione con altre comunità».
Le ricerche di Jacqueline sono diventate quel libro che rigira tra le mani, mentre supporta le parole del marito, intitolato “Elevation of the soul and the jews with badges” e scritto in inglese e portoghese. Ma riguardo ai Bnei Anousim (i discendenti) mancava ancora una cosa: fornire l'ufficialità del loro ritorno al giudaismo. Secondo la legge ebraica, perché ciò avvenga, oltre allo studio della Torah e alla pratica dei precetti, occorre un tribunale rabbinico capace e disposto a farlo.
«Ed è qui – dice rav Ventura – che entra in gioco l'importante figura del rabbino Haim Amsalem, uno dei massimi esperti in materia di conversione all'ebraismo. Autore di decine di opere e di una vera e propria enciclopedia, il rabbino Amsalem ha difeso l'importanza dell'accoglienza dei discendenti per decenni, anche durante i due mandati che ha tenuto alla Knesset d’Israele come parlamentare. Una volta stabilita la partnership, abbiamo iniziato a preparare coloro che erano interessati e qualificati alla conversione, con lezioni online di Torah, storia, filosofia e diritto ebraico e decine di visite alle comunità. Da allora, Rabbi Amsalem è stato in Brasile, accompagnato da altri rabbini di Israele, quattro volte, per compiere le conversioni. E così, oltre al tanto sognato ritorno spirituale, sono state aperte le porte a decine di membri del nostro movimento affinché potessero studiare in Israele e approfondire ancora di più i loro studi e l'integrazione». Il pomeriggio scorre facile. E la notte scende a chiudere l’incontro tra due mondi diversi che vivono un tempo uguale.