Stava male da molto tempo. La malattia inesorabile che lo aveva aggredito, era di quelle che logorano a poco a poco. Non lascia scampo. Aveva perso molti chili, ma non il solito “smalto” umoristico. I fans che andavano a trovarlo, ogni giorno che passava lo vedevano sempre più smagrito e fragile. È morto l’altro ieri a 74 anni; era nato nell’aprile del 1948 a Cibali. Negli ultimi giorni, sperando in un miracolo, la figlia aveva invitato tutti alla preghiera. Lui era Antonino Caponnetto, Brigantony. Verace espressione della catanesità.
Chi non ha canticchiato, almeno una sola volta, un brano della sua vasta collezione?
Brigantony, brillante e ironico cantautore, alla luce dei suoi successi in Italia e all’estero possiamo considerarlo il più grande rappresentante della musica popolare catanese degli ultimi quarant’anni. Un altro pezzo di storia catanese ci lascia. «In punta di piedi, se ne stanno andando tutti i nostri artisti migliori», è uno dei tantissimi commenti sui social. Brigantony era una vera icona, interprete di quella Catania genuina capace di trasformare una tragedia in farsa. L’artista riuscì a guadagnarsi i favori del pubblico grazie a una comicità asciutta e fulminante. E dire che le sue prime uscite erano state frettolosamente bollate come “volgari”. La sua figura appariva troppo trasandata nell’abbigliamento e “azzardata” nel linguaggio. Negli ambienti borghesi, quasi si gridò allo scandalo. Brani come “’A sucalora” o “’A nanna si misi i causi”, non si erano mai sentiti in giro. Intanto i suoi dischi andavano a ruba. “Abballa mugghieri abballa e non ti siddiari, ca l’assissuri cozzula ’mpostu tu fa pigghiari”. Con questo brano partecipò al 5° Festival della canzone siciliana presentato quell’anno da Pino Caruso ad Antenna Sicilia.
Il brano che gli aprì la porta del successo fu “A Cassa Malatia”. Una feroce satira sul sistema della mutua italiana. Da allora fu un crescendo di successi uno dietro l’altro. In carriera ha pubblicato moltissimi album. Continuò con i titoli “strurusi”(per dirla alla catanese), goliardici e ricchi di doppi sensi . “’A Ciolla”; “Mi stuppai ’na fanta”; “’A zita pilusa“ e molti altri. Dietro questi temi, apparentemente di massa, c’è invece satira graffiante e intelligente. Tutti i vizi della società, descritti con “pungente” leggerezza. La sua musica spaziava dalla tarantella siciliana al rock; dal boogie woogie allo swing, fino al rap. Molto disinvolto sul palco, si presentava con la sua inseparabile coppola siciliana indossata al contrario su una folta zazzera. Era di colore rosso, il suo colore preferito. «Ma Brigantony, perché porti la coppola storta?», gli chiese un ragazzino; risposta: «Ca picchì già sugnu stortu jù!».
I suoi personaggi sembrano appartenere a quelli della commedia dell’arte. “Cavaleri muschitta”, “’o prufissuri cutuletta”; passando per “Arazziu câ tigna” mafioso di sostanza. Hanno fatto la storia anche i racconti incisi negli anni come: “Il mago ’mpracchiapareddi” e “Padre Tamarindu”. Qualche canzone che si discosta c’è pure. “Vi vogghiu beni” è il brano “strappalacrime” che presentò a una delle edizioni del festival siciliano organizzato da Antenna Sicilia negli anni ’80. Lo dedicò a un giovane cantante non vedente, lo stesso che la cantò commuovendo tutti.