Palermo – C’è una Sicilia ricca di acque naturali benefiche e di energia sotterranea, che potrebbe attirare migliaia di turisti bisognosi di cure o più semplicemente in cerca di relax. Un’Isola, la nostra, ancora una volta “baciata” da madre natura, che però nelle statistiche sul turismo termale c’entra solo di striscio. Tutto ciò malgrado 8 Comuni termali (Montevago, Sciacca, Acireale, Alì Terme, Terme Vigliatore, Termini Imerese, Calatafimi Segesta, Castellammare del Golfo) e i bagni presenti nelle isole minori di Pantelleria e Vulcano.
Dei 323 stabilimenti termali attivi in Italia – secondo lo screening confezionato in poche settimane fa occasione dei cento anni di Federterme – più della metà si trova in due regioni: Veneto (28,2%) e Campania (23,8%), seguite a grande distanza da Emilia Romagna (7,1%), Toscana (6,2%), Lazio (4%) e Lombardia (3,7%). La Sicilia non si vede nemmeno con il cannocchiale. Il perché è presto detto: la metà degli stabilimenti è chiuso. Si tratta di Acireale, Sciacca, Termini Imerese, Terme Vigliatore. Quest’ultimo, già acquisito da una nuova società, attende il via libera degli uffici regionali per riaprire. Insomma, gli ultimi passaggi burocratici e l’attività potrà riprendere. Sono quindi al momento operative solo le terme di Montevago (pesantemente colpite dall’alluvione del novembre 2018), Castellammare, Calatafimi Segesta e una delle due presenti ad Alì Terme.
In totale le aziende termali convenzionate con il sistema sanitario sono 5, mentre gli alberghi termali sono 14 (per complessivi 2.958 posti letto). I clienti delle terme sono per il 57% donne e per il 43% uomini. Questi i dati riguardanti la Sicilia forniti da Federterme, che conteggia in 44.951 i turisti che gravitano negli alberghi siti nelle località termali e in 276.790 le giornate di permanenza. Il numero dei turisti che pernotta negli alberghi delle località termali italiane si attesta attorno ai 3,5 milioni. «Se paragonati con il resto d’Italia questi numeri non sono un granché – dice Aurelio Crudeli, direttore generale di Federterme-Confindustria – ed è un vero peccato perché in Sicilia il termalismo potrebbe contribuire a destagionalizzare i flussi turistici». Tanto per avere un’idea della scarsa portata del settore nella nostra regione, Crudeli snocciola a memoria il fatturato delle cure svolte in regime di servizio sanitario. Vale a dire i trattamenti terapeutici termali prescritti dai medici con la classica ricetta rossa: «Su un fatturato nazionale di 120 milioni, la Sicilia incide non più di 3 milioni». A conti fatti stiamo parlando del 2,5% di una sola branca dell’intero settore, che andrebbe totalmente ripensato. Altrove il termalismo, ad esempio a Montecatini, ha avuto la forza di evolversi, alleandosi innanzitutto con lo sport e gli eventi.
Secondo Crudeli, «in Sicilia senza una strategia sulla privatizzazione gli stabilimenti sono destinati a rimanere chiusi». Da qui l’invito alla Regione ad aprire un tavolo di concertazione per riattivare le terme di Acireale e Sciacca: «La chiusura di questi due siti ha avuto ripercussione su tutto il termalismo siciliano. Questo perché i flussi turistici si sono riversati fuori dalla Sicilia, facendo perdere quote importanti di mercato nel settore diretto e nell’indotto. Si tratta di un tema che va affrontato e Federterme è disponibile a ragionarci con la Regione».
L’obiettivo del rilancio passa anche dall’inserimento delle terme siciliane nella filiera della riabilitazione. Un progetto multiregionale che prevede l’affiancamento delle aziende termali a strutture assistenziali dagli elevati standard medico-scientifici. «È auspicabile – scrive Federterme – che anche la Regione Siciliana entri nel novero delle amministrazioni che si sono rese disponibili a portare avanti questa sperimentazione».