La Madonna dell’Hodighitria, poi in Sicilia divenuta dell’Itria, è la Madonna che “indica la via” ed è rappresentata nelle antiche icone bizantine a mezzo busto mentre tiene con la mano sinistra il Bambino e lo indica con la destra, perché Gesù è il cammino, la via. Di questo culto antico, e della sua rappresentazione pittorica e artistica in Sicilia nel corso dei secoli, narra la mostra allestita al Museo Diocesano. “Sofonisba Anguissola e la Madonna dell’Itria. Il culto dell’Hodighitria in Sicilia dal Medioevo all’Età Moderna” è nata da una convenzione tra la Sovrintendenza, il Museo Diocesano e il museo civico Ala Ponzone di Cremona, dove è stata esposta nei mesi scorsi. Ne sono curatori Roberta Carchiolo, storica dell’arte della sovrintendenza di Catania, Grazia Spampinato, direttrice del Museo Diocesano, e Mario Marubbi, conservatore del museo civico Ala Ponzone. Il progetto di allestimento è di Alba D’Arrigo e di Salvo Girianni.
Due le protagoniste della mostra: l’iconografia della Madonna dell’Hodighitria e la sua evoluzione in Sicilia, e Sofonisba Anguissola, eccelsa pittrice cremonese arrivata in Sicilia nel 1573 per il matrimonio con Fabrizio Moncada e autrice della splendida tavola abitualmente custodita nella chiesa di Maria Santissima Annunziata a Paternò.
Da fonti storiche si sa che una delle più antiche icone della Madonna dell’Hodighitria era quella custodita a Costantinopoli dove, in quanto considerata protettrice dalle invasioni, veniva portata in solenne processione ogni martedì, un rituale fondamentale nella costruzione dell’identità collettiva della città. Il culto di questa immagine – spiega Roberta Carchiolo – arriva nel Sud Italia e in Sicilia nell’alto Medioevo con i monaci basiliani, ma intorno al 1300 la rappresentazione della Madonna lascia le caratteristiche dell’icona e si trasforma nel racconto della processione dell’effigie della Madonna dell’Hodighitria a Costantinopoli. Un’icona distrutta con la caduta della città e dell’Impero cristiano d’Oriente nel 1453 ad opera di Maometto II. Allora, con la conquista islamica, il vessillo della cristianità passa in Occidente e l’iconografia occidentale e siciliana cambia ancora facendo proprio il racconto leggendario secondo cui due portatori recuperano l’icona dell’Hodighitria gettata in mare dai musulmani e la portano in salvo in Occidente. «Così, nel Cinquecento, la cristianità occidentale manifesta con questa immagine di essere rimasta l’unica vera Chiesa cristiana». Lo stesso racconto che in precedenza, nel periodo delle crociate, veniva fatto in merito alle reliquie dei santi – come quelle di Sant’Agata e di Santa Lucia – rientrate in patria dall’Oriente e salvate.
«Le opere in mostra – sottolineano le curatrici – raccontano queste trasformazioni che si svolgono attorno al Mediterraneo, un bacino dove si mescolano la cultura bizantina, lombarda, toscana e dell’Italia centrale, e spagnola. Nel Mediterraneo c’è un filo rosso che lega le immagini tra loro in un continuo rimando di codici linguistici e figurativi. Si parte delle icone bizantine, molto stilizzate, idealizzate e fisse, tipiche della cristianità greca, per arrivare alle immagini della cristianità latina più vicine al mondo reale. Questa mostra fa vedere come la Sicilia, tra il 1300 e il 1500, è un luogo che accoglie e trasforma quello che viene dall’Oriente e dall’Occidente con scambi vivaci, fertili e aperti alle influenze internazionali. Nostro obiettivo è raccontare la storia della Madonna dell’Itria, che è la patrona della Sicilia, e la centralità del Mediterraneo, anche nella storia dei santi».
La mostra si apre con una tavola della Madonna dell’Hodighitria di fine Duecento, che viene da Lentini, un’opera in stile bizantino, eppure rappresentata a figura intera. A fianco la sua “manta”, la preziosa coperta d’argento che ricopriva la tavola durante le processioni. Segue un affresco di fine Trecento, proveniente da Agrigento, in cui viene rappresentata l’icona della Madonna portata in processione su una cassa dagli odigoi, i confrati nel monastero dell’Hodighitria, poi chiamati calogeri. A fianco una tela, proveniente dal soffitto a cassettoni della chiesa Santissima Annunziata di Palermo, dove sono rappresentati una cassa, gli oligoi, e la Madonna con le braccia aperte, in posizione orante, con il bimbo al centro. E ancora una tavola del 1590, proveniente dal Museo diocesano di Monreale, opera manierista di Giuseppe Alvino dalla cromia vivace, in cui la Madonna è rappresentata ancora come un’icona portata in processione sebbene con forme più moderne e movimentate.
Al cuore della mostra la splendida tavola di Sofonisba Anguissola, l’unica con la Madonna a figura intera, realizzata a Paternò tra il 1577 e il 1579 e di recente restaurata, a spese del Comune di Cremona, da Domenico Cretti. Ad attribuirla alla grande pittrice cremonese-siciliana è stato per primo il dott. Alfio Nicotra, attribuzione poi confermata dal ritrovamento nell’Archivio di Stato di Catania di un documento del 1579 in cui l’autrice lascia il quadro ai Francescani di Paternò. Il testo indica chiaramente che il marito Fabrizio Moncada è vivo quando Sofonisba dipinge il quadro e questo smentisce una delle interpretazioni secondo cui il quadro fosse stato realizzato in onore del marito, morto in un naufragio, e come augurio del ritorno del corpo dell’uomo mai ritrovato.
Magnifica anche la Madonna della Raccomandata o del Riparo (1573-‘74), conservata nella chiesa di S. Maria dell’Alto di Paternò, che protegge sotto il suo manto da un lato il clero e dall’altro i laici di cui viene presentato un ritratto curato ed espressivo. Anche quest’opera è riconducibile a Sofonisba Anguissola. Tra le altre opere in mostra esposto anche il “Ritratto di gentiluomo”, della collezione benedettina di Castello Ursino, e sulla cui attribuzione sono sorte aspre polemiche. Al museo civico viene attribuito a El Greco, il dottor Nicotra lo considera opera di Sofonisba, mentre i curatori di questa mostra lo definiscono opera di “pittore di influenza iberica attivo alla fine del Cinquecento”. Interessante è notare che uno spazio è dedicato ai bambini e che sono previste visite didattiche guidate.
La mostra – finanziata dall’assessorato regionale ai Beni culturali e ospitata dal Museo Diocesano – è stata inaugurata il 17 settembre scorso alla presenza della presidente della Regione Nello Musumeci, della sovrintendente Donatella Aprile, dell’arcivescovo Luigi Renna, della prefetta Maria Carmela Librizzi e dell’assessore del Comune di Cremona Luca Burgazzi. Resterà aperta fino al 4 dicembre da lunedì a sabato dalle 9 alle 13 e martedì e giovedì anche dalle 15 alle 18. La domenica visite solo su prenotazione.