Catania
Il voto e le speranze di un 18enne: «Dateci certezze per non fuggire da questa terra»
«Beh, diciamo che un po’ di interesse c’è. Un po’. Tantissimo no, in effetti, ma non perché i ragazzi non si interessino o non seguano la politica, direi che, purtroppo, nella maggior parte dei casi emerge uno scollamento con i fatti della politica legati ad una vera e propria rassegnazione. Forse l’aspetto più brutto è proprio questo: avere 18 anni senza nessuna speranza di potere, con la propria partecipazione attiva alle scelte politiche, essere protagonisti di un cambiamento».
Brutta roba, insomma. Riccardo ci fa capire che non stiamo parlando di una generazione smarrita nel mondo virtuale dei social, nei vuoti a perdere mentali, nel nulla e nel disinteresse per qualunque cosa tenda a coinvolgere il pensiero e l’azione. E’ proprio che ‘sti ragazzi pensano di non avere nessuno strumento nelle mani per potere cambiare le cose. Riccardo, invece, tra diploma al Liceo Scientifico Galileo Galilei di Catania, un anno nel Kansas, il diploma e i test di accesso all’università per fare Medicina, di strumenti per indirizzare il suo futuro ne aveva tanti in mano. Primo fra tutti un biglietto di sola andata per una città del Nord. Invece?
«Invece no. Potevo andare a studiare a Milano o a Roma, avevo aperte diverse strade. Ho scelto Catania, la mia città. Capisco perfettamente quelli che se ne vanno, ma se qualcuno non resiste e resta, che sarà della Sicilia e del Sud fra qualche tempo?». Non è, ne fa, né si atteggia ad eroe Riccardo, tutt’altro. E’ pratico, sincero e coraggioso, questo sì. E ribalta subito la prospettiva dell’assunzione di responsabilità per la scelta che ha fatto di restare.
«E’ chiaro che oggi rischia di più chi resta che non chi se ne va. Una volta i nostri nonni andavano negli Stati Uniti a cercar fortuna, oggi partono giovani diplomati o laureati che sono una risorsa per chi li riceve. Ma noi che restiamo, lo voglio dire, carichiamo oggi la responsabilità di questa scelta su chi governerà la Sicilia nei prossimi anni. Vanno fatte scelte chiare, progetti, innovazione, bisogna saper spendere le risorse economiche che ci sono. Perché finora non è stato fatto? Saranno migliori quelli che verranno di quelli che ci sono stati? Non possiamo non sperare che sia così, se no dovrei dire che ho sbagliato a restare qui. non voglio».
Riccardo Foti parla di elezioni, politica e partiti, cerca di evitare di cadere nei soliti luoghi comuni, ma non è mica colpa sua se…
«Mi domando, e si domandano tanti di quei ragazzi di cui parlavamo prima, scoraggiati e rassegnati, se chi fa politica abbia chiaro il fatto che il cittadino vota ed elegge qualcuno affinché svolga un servizio per lui, non per se stesso. Cioè c’è sempre il sospetto che chi si candida lo faccia per raggiungere un posto di potere, la classica poltrona. E che da lì gestisca il potere per far favori a parenti ed amici. E’ questo che pensano tanti giovani, peraltro con i fatti di cronaca che confermano quanto ancora diffusa sia la corruzione, il voto di scambio, l’approfittare di posizioni di potere per arricchirsi. Io penso che queste elezioni debbano dimostrarci che si può cambiare, anche perché se no ci restano davvero poche speranze».
Riccardo Foti ha un cruccio, anzi due. Il primo è che quando è andato in America la prima cosa che gli hanno detto è stata…
«Ah, italiano, siciliano, bravo picciotto, allora, come quelli del Godfather, il Padrino. Molti sono fermi lì, a quello stereotipo. Eppure si potrebbe parlare di Falcone, di Borsellino. Anche se, per la verità, loro sono fermi al film con Al Pacino, ma qui non è che la mafia sia stata debellata».
E poi il secondo di cruccio: «Tanti miei compagni sono andati a studiare fuori dalla Sicilia, cercando università qualificate e che diano prospettive. Giusto. Ma perché non riusciamo qui in Sicilia ad essere attrattivi in qualche campo della formazione? E’ un peccato non potere creare anche un minimo di reciprocità nel movimento dei ragazzi che studiano».
Riccardo è (moderatamente) pieno di speranze. Anche alla vigilia del voto, del suo primo voto? Sa già su chi caricherà quel fardello della responsabilità per essere rimasto a studiare qui?
«Ma sì, lo so, certo. Ho visto e sentito un po’ tutti i candidati, presenti anche sui socialnetwork. Si sono modernizzati, bravi. Adesso vediamo se sapranno anche cambiare passo e cultura governando bene questa terra. Perché anche chi resta, alla fine, è sempre in tempo per andarsene, mentre chi se ne va, mi sa che non torna più».
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