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Il reddito d’inclusione a Catania trova una città ridotta allo stremo

Di Pinella Leocata |

Gli studi sulla povertà a Catania, condotti dal Dipartimento di Scienze politiche e sociali su dati dell’Istat, dicono che in città, 313.000 abitanti, la metà delle famiglie vive con un reddito inferiore ai 15.000 euro l’anno. In particolare, su 165.000 contribuenti 61.000 (il 37%) può contare solo su un reddito inferiore ai 10.000 euro l’anno, e altri 21.000 (il 13%) su un reddito da 10.000 a 15.000 euro l’anno. Non solo. I disoccupati, dai 15 ai 74 anni, sono il 41,6% della popolazione, un dato enorme di gran lunga maggiore rispetto alla media delle grandi città italiane. A questo si aggiunge che ben il 40% dei giovani tra i 15 e i 29 anni non studia, non è in formazione e non lavora. Ancora. Il 18% dei catanesi vive in famiglie senza reddito poiché nessuno lavora o percepisce una pensione. Infine va ricordato che nel 2016 le richieste di esecuzione di sfratto sono state 8.478. Quando non si ha un reddito pagare l’affitto diventa impossibile.

E’ questo il quadro terribile in cui arriva il nuovo strumento di contrasto alla povertà finalizzato all’inclusione sociale, volto cioè non solo ad erogare un sostegno economico, ma a prefigurare percorsi di fuoriuscita dallo stato di bisogno e di acquisizione di una necessaria autonomia. Ed è qui che iniziano i problemi e le difficoltà. Le esperienze tentate in precedenza, alcune proprio a Catania, hanno fatto rilevare quanto sia difficile e complesso questo percorso.

Il “Reddito minimo di inserimento”, sperimentato negli anni 2000 a Catania e in una decina di altre città italiane, è stato ovunque un fallimento, sia perché parte dei fondi sono stati utilizzati per altri scopi, sia perché è mancata la valutazione e la rendicontazione di quanto fatto e questo ha spinto a non rifinanziare la sperimentazione. Ma, soprattutto, l’intervento, al di là della proclamazione di intenti, si è limitato all’erogazione di somme, senza che il percorso di formazione e di inserimento nel mondo produttivo abbia avuto alcun esito o sia stato addirittura intrapreso. Nella realtà l’accompagnamento nel percorso di fuoriuscita dal bisogno e di acquisizione di autonomia si è risolto solo nell’iscrizione nelle liste di collocamento del Centro per l’impiego e questo, senza alcun accordo specifico con l’amministrazione comunale, si è tradotto in un nulla di fatto.

Un precedente da tenere in grande considerazione dal momento che lo spirito che impronta il Reddito di inclusione sociale è simile a quello dell’allora Reddito minimo di inserimento. Questo significa che l’amministrazione dovrà attuare i propri interventi attivando e coordinando tutte le risorse del territorio, dai servizi, alle associazioni, alle imprese, alla sanità. E significa che le assistenti sociali dovranno affrontare un lavoro pesante e attento, e questo tanto più dal momento che su 77 in pianta organica, ne siano in servizio solo 56 di cui appena 33 operative sul territorio. Un numero esiguo e, peraltro, mal distribuito dal momento che i centri sociali sono stati drasticamente ridotti a soli 2 centri multizonali articolari in 4 sedi per tutta la città, che è molto estesa. Difficile per gli utenti anche solo raggiungere i centri sociali. Non a caso l’assessore ai Servizi sociali Fortunato Parisi ha annunciato l’assunzione a tempo determinato per due anni di 10 nuove assistenti sociali proprio per gestire la massa di domande per accedere al Reddito di inclusione sociale. Ne sono attese ben 22.000, ma va ricordato che già per la Social Card di domande ne arrivarono oltre 3.700 l’80% delle quali fu respinto. A beneficiarne furono poco più di 600 nuclei familiari, quasi 3.000 persone. Mentre i beneficiari del Sia (Sostegno di inclusione attiva), altra forma di sostegno, sono stati 2.347 in tutto il Distretto 16 (Catania, Misterbianco e Motta Sant’Anastasia).

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