l'analisi
Il procuratore Fonzo: «Di Primo era atteso con impazienza dai giovani del clan. E infatti appena scarcerato è tornato a comandare»
Il procuratore aggiunto di Catania ha analizzato alcuni aspetti del blitz che ha azzerato il clan Scalisi di Adrano
«Si discute, e c’è un ampio dibattito, del sovraffollamento delle carceri e della funzione costituzionale della pena e giustizia riparativa. Il dato oggettivo che posso fornire è questo: il boss Alfio Di Primo condannato a 30 anni è scarcerato nel 2021, beneficiando di riduzioni di pena, scontando meno della pena comminatagli, e rientra ad Adrano, dove è atteso con ‘impazienzà dai giovani arrestati oggi. Non è la prima volta che esponenti di spicco della criminalità organizzata escono dal carcere e tornano a prendere le redini di gruppi malavitosi».
Lo ha rilevato il procuratore aggiunto Ignazio Fonzo che, con i sostituti Assunta Musella e Fabio Saponara, ha coordinato le indagini dell’operazione Primus sul clan Scalisi della squadra mobile della Questura di Catania e del commissariato di Adrano. La polizia ha eseguito un’ordinanza cautelare nei confronti di venti indagati, una persona è attualmente irreperibile.
«Per fortuna – ha sottolineato il pm Fonzo che agli inizi degli anni Novanta ha seguito le operazioni antimafia Ficodindia contro il clan Laudani – c’è una conoscenza pregressa da parte della magistratura catanese che è in grado di fare scattare gli allerta necessari e mettere subito sotto controllo esponenti di spicco della mafia quando sono scarcerati».
«In certi ambiti – ha aggiunto il procuratore aggiunto riferendosi all’attività criminale di Di Primo, cognato del boss Giuseppe Scarvaglieri, detenuto in regime di 41bis e ritenuto il capo indiscusso della cosca Scalisi – probabilmente non c’è uscita dall’ambito criminale. L’unica variante rispetto a prima è che non si spara e non si uccide, ma la presenza mafiosa si espande sul territorio agevolata dall’omertà».
«Di Primo – ha ricordato il procuratore aggiunto Fonzo – fu arrestato quando aveva 30 anni, nell’ambito delle operazioni Ficodindia 1 e 2, anche per due omicidi, commessi nell’ambito della guerra di mafia agli inizi degli anni Novanta a Catania e provincia che fecero scalpore e per i quali fu condannato con sentenza passata in giudicato. Nel 1993 per l’uccisione di Sebastiano D’Arrigo, assassinato con un escavatore, che fu decapitato su ordine del boss Di Giacomo, dei Laudani, e di Tano Cordaro nel 1994. Fu condannato, con cumulo di pena, a 30 anni reclusione». Un pentito ha anche anticipato ai magistrati sette mesi prima della sua scarcerazione che «appena Di Primo torna libero prende le redini della cosca».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA