Catania – A un mese dall’occupazione dell’ex Hard Rock Cafè, tra la Pescheria ed il quartiere Angeli Custodi, continua a reggersi su un delicato equilibrio tra il silenzio della proprietà (Unicredit) e le attività dei ragazzi della Comunità Resistente Piazzetta. La sistemazione dello stabile procede, così le tante attività che vengono svolte quotidianamente al suo interno. Come non si fermano le ricerche in merito allo stabile anche per essere pronti a rispondere ad eventuali contestazioni: «L’edificio è stato messo in vendita nell’ottobre 2016 a 676mila euro – spiega Abel Musarra, che si occupa della parte burocratica per il Centro Popolare Occupato Colapesce – un prezzo relativamente basso considerato l’immobile in sé, quasi 1100 mq di superficie: nei vari passaggi catastali si legge che la proprietà è stata dal 2001 Locat Spa, dal 2002 al 2008 Caflish srl, dal 2008 ad oggi Unicredit Leasing. Non si spiega infine come, dopo aver speso milioni di euro per la ristrutturazione ed apertura del locale nel 2004, sia potuto fallire dopo solo due anni».
L’obiettivo dei ragazzi è «restituire alla città un luogo chiuso inspiegabilmente da 12 anni – sottolinea Damiano Cucè – noi non siamo un’associazione di volontariato, vogliamo solo una società che funzioni: perché la rete sociale attuale non funziona, o non è conosciuta. Certo non possiamo risolvere noi i problemi, ma indirizzarli grazie anche ai tanti gruppi che ci supportano, come l’USB Federazione Catania. Mentre al contrario ci sono altre realtà che stanno ignorando ciò che sta succedendo qui, abdicando al loro ruolo». «Molti dicono che la nostra sia una generazione fallita – aggiunge Cristian Marino – ma noi stiamo dimostrando che non è cosi: noi non stiamo con le mani in mano, i nostri genitori sono orgogliosi di noi perché stiamo vivendo un’esperienza non fine a se stessa. Oltre al doposcuola ed allo sportello contro lo sfruttamento del lavoro abbiamo aperto una ciclofficina, e a breve ci saranno un corso d’inglese e più in là uno sportello di supporto ai migranti».
Foto di Santi Zappalà