Catania
Dal 4-2-4 di Giarre a quello dell’Italia: il laboratorio Ventura
Qui non c’entrano i risultati, ma la mole di episodi tutti da raccontare che hanno fatto del genovese molto più che un allenatore. Era un calcio d’altri tempi, vissuto in una città, Giarre, che ti permetteva di vivere in tutta serenità i momenti di crisi, che esaltava fino all’inverosimile le vittorie. E di questo particolare, Ventura, mai ha fatto mistero: «A Giarre è cominciato il mio percorso professionale e umano. Ho sperimentato le mie idee, le ho perfezionate con il tempo. Ho conosciuto persone che ancora oggi sento con piacere e che presto verrò a trovare» ha detto prima dell’incarico attuale.
Ironia della sorte, domani a Palermo si confronteranno due allenatori, Ventura e De Biasi, i cui destini s’incrociarono proprio a Giarre. Ce lo racconta l’allora diesse gialloblù Ciro Femiano: «Era l’estate del 1992, il tecnico Angelo Orazi era passato al Palermo insieme con il centravanti Totò Buoncammino. La piazza non la prese benissimo, dovevamo trovare subito un sostituto all’altezza. Avevo in lista due nomi su tutti: De Biasi e Ventura. Parlai con loro quasi in contemporanea, ma De Biasi disse subito che preferiva accettare la corte del Carpi per avvicinarsi al paese della moglie».
Femiano braccò e bloccò Ventura: «Ma era tesserato con la Pistoiese – racconta – ci incontrammo a Roccaraso prima di una partita e poi a Coverciano. Era giugno del 1992, ci fu subito feeling, a pelle sentii che era l’uomo giusto per il Giarre. A Roccaraso ricordo che dopo una gara prendemmo appuntamento in un bar. Lui fece fermare il bus in un bar e scappò per una ventina di minuti per discutere con me del suo futuro».
La campagna acquisti filò via liscia: «Voleva Dal Moro, un mediano che si spingeva in avanti e – ricorda Femiano – nella fase di possesso trasformava il Giarre in un 4-2-4 avveniristico ma efficace. Io proposi Mancuso, ex Milan, prendemmo anche lui e insieme i due realizzarono cinque gol a testa. Dal Moro fu anche l’artefice del successo sul Catania in casa. Al Cibali vincemmo 1-0 con un gol di Bucciarelli al 90’ innescato da un contropiede velocissimo di Sanseverino. Un trionfo».
De Biasi, Ventura, Femiano domani si ritroveranno al Barbera: «Andrò alla partita – conferma Femiano – ritroverò tutti e due con piacere».
Giarre ritroverà presto anche il commissario tecnico amico. Per iniziativa di Piero Mangano, assessore allo sport, quando arriverà una pausa di lavoro, nei prossimi mesi, Ventura sarà insignito della cittadinanza onoraria. Sono state avviate le procedure, il ct ha detto di si, bisognerà stabilire la data e sarà un piacevole, affollato, tuffo nel passato.
Riemergeranno storie divertenti, gustose, alcune già note. Come quella volta in cui il ct si inerpicò su una scala, invitato da un tifoso, per assaggiare le celeberrime ciliegie di Macchia per restarne folgorato e sazio al punto di farne indigestione.
O quando riceveva la troupe di Antenna Sicilia e richiedeva sempre lo stesso operatore, Carlo Di Dio, perché con lui il Giarre vinceva. Ah, le interviste le concedeva durante il riscaldamento, con i calciatori già in campo, e sullo stesso fazzoletto di terra all’interno del campo di gioco. Oggi sarebbe impensabile. Però la scaramanzia la faceva da padrona. Così come il caffè sorbito con chi scrive, sempre alla stessa ora, al bar Lomeo, lo stesso tragitto per arrivare al campo giarrese, la telefonata del sabato: «Vieni alla partita? Scrivi tu?» Domande che avevano già una risposta, ma era meglio dirsele, certe cose, perché il Giarre di Ventura filava dritto come un treno.
Si piazzò quarto, quell’anno. Dietro Palermo, Acireale e Perugia, a tre punti dal secondo posto e a cinque dai rosanero capolista. Ci fossero stati i play off, forse Gianpiero sarebbe rimasto in Sicilia. Andò a Venezia, in B, alla prima in Laguna affrontò il neopromosso Acireale e vinse 2-1. La settimana prima dell’esordio ci chiamò: «Vieni alla partita». Non era una domanda, ma un’imposizione. Chiedemmo il permesso al giornale. Accordato. Arrivammo a Venezia: la sera del ritiro andammo a cena: pizza e discorsi in dialetto. Era l’ultimo scampolo di una vita tutta siciliana che Ventura mai ha dimenticato.
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