Crisi Bellini, Che non sia il canto del Cigno

Di Antonello Piraneo / 03 Novembre 2019

Catania – Alla fine – superato il picco di incredulità e appelli giustamente sdegnati, piovuti da ogni dove – il Bellini lo salveranno, anche stavolta. Per il 2020 più o meno certamente, per il 2021 forse, per il 2022 boh. Il salvagente devono gonfiarlo all’Ars, votando il finanziamento (fino ai 13,5 milioni promessi dal governatore Musumeci) inserito in bilancio. Un salvagente, perché in effetti così si tratta di galleggiare, null’altro. Ecco il punto: cosa deve essere “l’altro” rispetto alle toppe che si mettono a un abito orrendamente strappato negli anni da cecità politica ma anche da stagioni alcune un po’ così, altre presuntuosamente napoleoniche, altre ancora autoreferenziali, cartelloni tracciati senza il coraggio necessario per confrontarsi con altre realtà meno nobili ma magari più attrattive, specie per un pubblico giovane e comunque già smaliziato e pretenzioso?
La Regione vuole traghettare l’ente lirico fino a farne una Fondazione (per inciso: oggi in Italia se ne contano 14 e la Sicilia una ce l’ha già e sostiene il Massimo di Palermo), approdo che in tanti considerano sicuro come il porto di Tripoli: perché le Fondazioni reggono se si specchiano in contesti floridi, dinamici, munifici, banche e imprese, tante imprese disposte a metterci soldi. Altrimenti sono contenitori a perdere. Basti l’esempio dell’art bonus, strumento che fa leva su dazioni di privati attirati da visibilità e sgravi fiscali: può funzionare in Brianza o a Parma, ma non in Sicilia e nella desertificate realtà industriale catanese.

È così che s’innesta il cortocircuito che porta al black out: meno trasferimenti pubblici, programmazione ritardata e al ribasso, minori incassi, proteste, chiusura. Con buona pace dei sacrifici dei lavoratori (al Bellini sono 200) con cui si riducono ma non si coprono i buchi dovuti a organici fino a ieri ipertrofici, a contratti pesanti e pensati un mondo fa. Quasi privilegi di casta, vivaddio cancellati, che oggi gravano sul Teatro e quindi sui lavoratori, su tutti i cinquanta precari che vedono la loro stabilizzazione sempre più lontana.


A conti fatti “l’altro” in grado di salvare davvero il Bellini, nella sua attuale condizione di teatro di tradizione, deve essere la presa di coscienza di tutti, quindi della città, se davvero vuole far proprio il teatro, al di là di una dichiarazione un tanto al chilo, di una fiaccolata che fa fine e non impegna. Ma dove è stata la città finora? E soprattutto, il teatro l’ha cercata davvero questa città? O ha preferito restare nel recinto degli affezionati abbonati a prescindere, così che alle prime si ritrovano sempre gli stessi, come se il Bellini fosse un Rotary o la Jonica e non, appunto, un pezzo di città, cangiante e perciò vivace?
Magari i melomani puristi, gli ortodossi del contributo pubblico, i pavidi dello sbigliettamento, storceranno il naso ma se vogliono che il “loro” teatro resti aperto e con un orizzonte più ampio di un intervento in extremis, accettino di vedere il Bellini al centro di eventi per tutti (partendo da una politica di prezzi per i non abbonati), di coraggiosi ibridi: lo scorso anno il Massimo di Palermo ha affidato la prima a Emma Dante, non s’è rifugiato in ri-ri-letture filologiche di opere già viste o di nicchia.


Ci sarebbe poi da dire che la città di Bellini dovrebbe vivere di Bellini, come Pesaro vive di Rossini: ma questo lambisce la fantascienza, se le porte del teatro rimangono chiuse ai tanti turisti che pagherebbero solo per vedere la maestosità del monumento di Sada, se ancora adesso Catania propone senza rossore alcuno festival belliniani a vario titolo, ufficiali, ufficiosi, vedete voi. Di fronte a questo quadro, forse diventa persino marginale la scelta di un sovrintendente, specie se chiamato a gestire una macchina complessa come quella di un ente lirico senza una propria squadra o proprio senza una squadra. Certo, non servono travet, magari competenti ma grigi, senza inventiva, fantasia, brillantezza, audacia per portare lirica, sinfonica e balletto finalmente nel Terzo Millennio. Prendendo a prestito Puccini, nessun dorma. Ma proprio nessuno.

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Redazione
Tag: bellini catania città lavoratori teatro tradizione