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Confiscato l'”impero” di Salvatore Lo Miglio del clan Santapaola-Laudani

Di Redazione |

Catania – Il Tribunale-Sezione Misure di Prevenzione di Catania ha emesso un decreto di confisca di beni nei confronti del pregiudicato catanese Salvatore Lo Miglio, uomo contiguo ai clan mafiosi Santapaola e Laudani e considerato soggetto con qualificata pericolosità sociale.

A finire nella piena proprietà dello Stato, un patrimonio di tutto rispetto che comprende tre immobili siti a Letojanni (ME), tre immobili a San Giovanni La Punta (CT) tra i quali una lussuosa villa, un immobile situato a Misterbianco (CT) dove sono stati anche confiscati quattordici unità immobiliari facenti parte di un unico edificio: quattro garage, due botteghe, un deposito e sette appartamenti. Interessati dalla confisca anche un’autovettura, un motoveicolo e il saldo attivo di un conto corrente postale. Il tutto, per un valore stimato di quattro milioni e cinquecentomila euro.

Il provvedimento ablativo disposto dal Tribunale – Sezione Misure di Prevenzione rappresenta il frutto di un’indagine investigativa e patrimoniale coordinata dalla Procura della Repubblica e condotta nel 2015 dal personale della Divisione Polizia Anticrimine che ha evidenziato la sproporzione tra i redditi formalmente dichiarati da Lo Miglio e dal suo nucleo familiare e i numerosi beni acquisiti, tutti provento delle illecite attività commesse nel tempo dall’interessato, in primis l’usura aggravata.

Il pluripregiudicato era stato arrestato da ultimo nel febbraio 2014, nell’ambito dell’operazione denominata “Money Lender”, eseguita da personale della Squadra Mobile etnea, congiuntamente al Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza, perché ritenuto appartenere, insieme ad altri 30 soggetti, a un’associazione criminale dedita all’usura e all’estorsione, con l’aggravante di aver favorito le due famiglie mafiose catanesi Laudani e Santapaola. Ed è proprio in relazione a tale procedimento che sono iniziate le investigazioni patrimoniali sul conto del Lo Miglio: la Guardia di Finanza, su delega della Procura della Repubblica etnea, e la Questura, su iniziativa del Questore pro tempore, hanno fatto luce sul piccolo impero dell’uomo e della sua famiglia.

Forti di un consolidato quadro d’indagine nel quale il Lo Miglio veniva collocato in un ambito contiguo alla criminalità organizzata, in cui si muoveva con le medesime modalità, avvalendosi delle condizioni di assoggettamento e di omertà previste dall’art. 416 bis del Codice penale, gli inquirenti hanno sondato ogni cespite a egli riconducibile, rinvenendone dubbi di fondatezza sulla legittima provenienza, tanto da attestare l’illiceietà di gran parte del patrimonio posto in esame.

E, proprio grazie a questo intenso e non facile lavoro svolto dalla Polizia di Stato e dalla Guardia di Finanza, col coordinamento della Procura della Repubblica, è stato fornito al Tribunale – Misure di Prevenzione, uno scenario credibile di illecito arricchimento e di reinvestimento di denaro proveniente da malaffare, che hanno portato dapprima al sequestro preventivo e, successivamente, all’odierno provvedimento che aliena la proprietà dei beni a favore dello Stato.

La storia criminale di Lo Miglio lo vede ritenuto gravemente responsabile dei reati di usura in concorso (ex artt. 110 e 644 commi 1 e 5 n.3 e n. 4 c.p.), in un contesto che coinvolgeva a vario titolo altri 30 soggetti, in ordine ai reati di associazione per delinquere, usura, estorsione, “…con l’aggravante di avere agito avvalendosi delle condizioni di assoggettamento e di omertà previste dall’art.416 bis del codice penale e comunque al fine di agevolare le attività delle associazioni mafiose “Laudani” e “Santapaola”. Fatti commessi in Catania e zone limitrofe, fino al marzo 2012…”. L’attività d’indagine consentiva di acclarare, tra l’altro, il coinvolgimento di taluni componenti della famiglia Bosco, titolari a Catania di numerose attività commerciali, in contesti associativi di criminalità organizzata. In proposito, le dichiarazioni rese da un collaboratore di giustizia già appartenente al clan “Pillera”, in merito ai componenti della famiglia Bosco, evidenziavano la contiguità di questi ultimi con l’anzidetto clan mafioso.

In particolare, dall’attività investigativa emergeva una fitta rete di rapporti concernenti prestiti di denaro a condizioni usurarie concessi da taluni componenti della famiglia Bosco, tramite alcuni soggetti pregiudicati, e tra questi, Antonino Cuntrò, cugino dei Bosco. A Salvatore Lo Miglio veniva contestato il ruolo assai significativo di “finanziatore” dei prestiti usurari. In specie, venivano rilevati due distinti episodi, uno risalente alla fine del 2006 e l’altro al 2008: nello specifico, lo stesso forniva il denaro al succitato Antonino Cuntrò il quale, a sua volta, effettuava i relativi prestiti alle vittime, in genere imprenditori del settore edile in stato di bisogno.

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