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Il processo

Catania: uccisa con un masso al cimitero dieci anni fa, riesumato il cadavere

I periti dovranno stabilire i tempi di agonia della vittima Concetta Velardi. Il figlio, Fabio Matà sta affrontando l'appello bis dopo l'annullamento con rinvio della Cassazione.

Di Laura Distefano |

La bara marrone è impolverata ma ancora lucida. Sono passati dieci anni dall’efferato delitto di Concetta Velardi, uccisa con un pesante masso sferrato sul capo. La donna fu trovata agonizzante tra le tombe del cimitero di Catania il pomeriggio del 7 gennaio 2014.Ieri hanno riesumato il cadavere. Una procedura seguita dai periti nominati dalla Corte d’Assise d’Appello, chiamata a decidere il destino giudiziario di Fabio Matà, accusato dell’omicidio della madre e reduce di una condanna a 15 anni in secondo grado poi annullata con rinvio dalla Cassazione. Da qui l’appello bis, che ha riservato un colpo di scena che nessuno si aspettava.

Al cimitero è presente uno dei consulenti del collegio peritale (guidato dalla anatomopatologa Cristina Cattaneo) nominato dal collegio presieduto da Stefania Scarlata. Ad assistere anche il perito della difesa e l’avvocato Salvatore Pulvirenti. C’è pure il sostituto procuratore generale Antonio Nicastro, che ha già chiesto la conferma della pena inflitta nel primo appello. Ma prima che la difesa affrontasse l’arringa la Corte decide di approfondire nuovamente gli aspetti medico legali conducenti ai tempi della morte. Il tempo in questo processo ha un ruolo fondamentale: perché Fabio Matà quel pomeriggio si allontana dal cimitero. Prima accompagna la madre nella tomba (mausoleo) dove riposano il fratello e il padre e poi va via per qualche minuto per prendere un caffè. Quando torna indietro trova la mamma in fin di vita e sanguinante. Le indagini della squadra mobile portano nel 2017 a chiudere il cerchio sul figlio. L’ora del decesso, stabilita dal medico legale delegato all’epoca, è messa in collegamento con le celle d’aggancio del cellulare che registrarono le posizioni dell’imputato. E la ricostruzione cronologica convince il gip prima e il gup dopo che condanna Matà in abbreviato a 30 anni. Poi in appello le cose cambiano: la pena con il riconoscimento è ridotta della metà.

La riesumazione del cadavere è disposta dalla Corte perché i consulenti riferiscono che prelevando del tessuto cutaneo si può stabilire “il tempo di agonia” di Velardi. Questo significa spostare indietro le lancette dell’orologio dall’unico momento certo che si ha: cioè l’ora del decesso. Bisognerà capire se l’agonia è cominciata prima o dopo che Matà si è allontanato dal camposanto. Non vi è stata certezza che si potesse svolgere l’esame ipotizzato dalla Cattaneo finché non si è aperta la bara e non si valutassero le condizioni del cadavere a dieci anni dalla morte. I prelievi sono effettuati, quindi si potrà procedere. Le conclusioni, salvo sorprese, si dovrebbero conoscere il 30 gennaio prossimo quando si tornerà in aula.

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