È tornata sul luogo del “delitto”. Il luogo dove si perde l’innocenza del palcoscenico: il Festival di Sanremo. Dopo, nulla è più come prima. Bella, sorridente e molto spigliata, a ogni apparizione al Festival dello Strapaese Italia Diletta Leotta deve indossare uno strascico di polemiche. Anche quando i monologhi sono copioni scritti da altri. Nella declinazione festivaliera delle dieci donne, che poco o nulla rappresentano quelle reali, c’è anche l’avvenente conduttrice dalle curve esplosive. Catanese, 28 anni, laureata in Giurisprudenza, fiorita professionalmente ad Antenna Sicilia, oggi presentatrice sportiva su Dazn, conta più di 6 milioni di follower su instagram, quelli che incollati alla sua vita non perdono una sua seduta in palestra.
Come si usa nel campo di calcio, le mezze parole non sono ammesse: «La bellezza? Certo, è un vantaggio, altrimenti col cavolo che sarei qui», ha esordito nel suo monologo sanremese. Ed è vero. Ma unite a fortuna, studio e certo tanta determinazione. Sanremo è per lei una pagina già chiusa, nessun commento. Racconta il legame con la sua città. Diletta non vive a Catania, ma vive Catania. Innamorata della sua dinamicità, dei suoi profumi, dei suoi dolci lussuriosi.
Cosa le piace e cosa non le piace della sua città?
«Di Catania mi piace la “voce”: il rumore dei posti che sanno farti sentire a casa. Mi piace che sia una città generosa perché ti offre davvero tutto: il mare, la presenza dell’Etna che invece di preoccuparti sembra stare lì a proteggerti. E poi i capolavori artistici mozzafiato ma anche le crispelle di riso, i cannoli, la cassatella imbevuta di rosolio e farcita con ricotta, gocce di cioccolato e canditi. Di Catania mi inorgoglisce l’idea che sia definita la Milano del Sud, perché è viva e dinamica, ricchissima di locali alla moda. Quanto alle cose che non mi piacciono, è un discorso più ampio. Vorrei che tutta la Sicilia sfruttasse il suo potenziale più di quanto non faccia già. Vorrei vedere investitori che decidano di credere in lei, trovandoci condizioni ideali come accade in altri luoghi. Vorrei solo che la Sicilia si amasse un po’ di più».
Com’è cambiata negli ultimi anni?
«Ogni volta che torno c’è sempre una novità: la movida è in continua evoluzione. C’è un’imprenditoria che mette fuori la testa che punta sulla sicilianità, sul brand Sicilia e credo che questa sia una strada importante. Anche la metropolitana è una conquista recente: migliorare i servizi vuol dire avere cura dei propri cittadini».
Cosa cambierebbe di Catania (e dei catanesi), se fosse possibile?
«Non cambierei niente, vorrei solo che si proseguisse sulla via della determinazione, del coraggio, della voglia di futuro che poggi sui valori del passato e del presente ma guardando lontano, con la dovuta ambizione. I catanesi vanno bene così: sono ospitali, fieri. La famiglia la mettono al primo posto, proprio come me e come tutte le amiche che vedo sempre volentieri tornando a casa».
I posti preferiti. Cosa le manca?
«Mi mancano Aci Trezza, il porticciolo dove ho imparato a nuotare e poi i faraglioni. Mi manca il profumo delle arance che sento ogni volta quando scendo i gradini dell’aereo: un profumo immancabile che vivo come un saluto che Catania mi riserva da quando ero bambina».
Ci suono luoghi del ricordo che ha ritrovato diversi, peggiorati?
«Si può fare di più nella manutenzione, nella cura periodica delle infrastrutture. Ma questo è un problema un po’ più diffuso, insomma un po’ più nazionale perché lo vivi anche altrove».
C’è un’aria, anzi, “un’aura”, di Catania?
«E’ una città che trasmette energia. Catania è come l’Etna: orgogliosa e forte!».
Com’è Catania, e come sono i catanesi, visti oltre i confini dell’isola? Solo mafia o solo Etna?
«Oggi la Sicilia e quindi Catania sono luoghi vivi, unici: originali e affascinanti. Trovo che certi stereotipi siano stati via via superati. A sud di Catania ci sono Ortigia, Noto, la capitale del barocco: sono posti aperti al mondo, con moltissimo turismo ma anche piccole oasi in cui attecchiscono iniziative interessanti. Vorrei che questo spirito si allargasse a tutta la Sicilia».
La rinascita della città passa dal turismo o dalle manifestazioni culturali? E cosa fare per attrarre più turisti?
«Penso che il turismo sia il vero motore per rilanciare un territorio che ci invidia tutto il mondo. Le ricchezze artistiche e naturali che vedi in Sicilia non è facile trovarle altrove. Quanto alle manifestazioni culturali, rappresentano un valore aggiunto. Forse andrebbero promosse un po’ di più».
I siciliani cervelli in fuga o per alcune professioni è necessario andare altrove?
«E’ difficile giudicare le decisioni di una persona: sono legate a fattori diversi, a volte sociali, professionali, altre volte personali. Nel mio caso per esempio è stato necessario andare altrove. Avevo iniziato con Antenna Sicilia, poi per seguire un percorso che avevo già in mente, ho fatto la valigia e via».
Dalla parte delle donne, le quote rosa servirebbero?
«Pensare alle donne come categoria da proteggere, è una strada che non mi entusiasma. Voglio pensare alle donne come profili umani, sociali, professionali completamente paritari rispetto agli uomini. Forzarne l’ingresso in questo o in quell’ambito attraverso normative straordinarie, lo trovo poco edificante per quello che noi rappresentiamo oggi come sempre: un valore di cui non si può fare a meno».