CATANIA – E la prima è andata. Nel senso che la Gip Maria Ivana Cardillo non ha avuto remore nell’accogliere le richieste dei magistrati della Procura di Catania (in testa Carmelo Zuccaro, affiancato dalle sostitute Antonella Barrera e Tiziana Laudani) in merito al troncone di fermi risalenti alla scorsa settimana e relativi a un’indagine della squadra mobile etnea sulle infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore delle scommesse online.
Infiltrazioni che, nello specifico, sarebbero proprie del clan Cappello, con in testa il boss “Massimo ‘u carruzzeri” Salvo, il quale, sfruttando i buoni rapporti con l’imprenditore siracusano Fabio Lanzafame, oggi collaboratore di giustizia, sarebbe riuscito ad allestire una rete di agenzie di scommesse con ramificazioni in mezza Sicilia: Catania e provincia, naturalmente, ma anche Siracusa, Ragusa, Messina, Caltanissetta e Agrigento.
Esattamente quel che sarebbero riusciti a fare, sempre col supporto del Lanzafame, anche i “Santapaola Ercolano”. E ciò grazie ai fratelli Placenti e ai loro accoliti, sottoposti a provvedimento di fermo la scorsa settimana e le cui posizioni sono state nel weekend al vaglio dell’ufficio del Gip.
In proposito ne sapremo di più nelle prossime ore, probabilmente. Per il momento giusto soffermarsi sugli affari del clan Cappello, su cui la polizia (ieri rappresentata, in conferenza stampa, dal questore Alberto Francini, dal capo della squadra mobile Antonio Salvago, dal vice Salvatore Montemagno e dal funzionario dello Sco nazionale, Francesco Stampacchia) indagava da tempo, monitorando tutte le iniziative di “Massimo ‘u carruzzeri”, già colpito duramente in occasione del blitz denominato “Penelope” e risalente al mese di gennaio dello scorso anno.
Durante quelle indagini si apprese che Salvo, dimostrando un certo spirito imprenditoriale, aveva pensato di aprirsi ad affari ben diversi dalle estorsioni allo spaccio di droga, avvicinando, ad esempio, due “pezzi da novanta” del settore dello smaltimento dei rifiuti come Giuseppe Guglielmino (allora titolare della Geo Ambiente) e il padre Vincenzo Guglielmino (titolare della E.F. servizi ecologici), che per gli appalti che avrebbero ottenuto anche in virtù della vicinanza con il clan Cappello si sono trovati con le manette ai polsi rispettivamente in occasione del blitz “Penelope” e del successivo “Gorgoni”.
Ma l’infiltrazione nel settore dei rifiuti a Salvo non bastava. E, manifestando “occhio lungo”, si sarebbe gettato a capofitto in quello delle scommesse online, già proprio delle organizzazioni criminali attive nel territorio italiano e seguito con sempre maggiore interesse anche dai clan di casa nostra.
Era l’inizio del 2016 e gli investigatori capiscono che davvero l’affare può garantire introiti importanti al clan Cappello. Per questo, una volta individuata la figura di Fabio Lanzafame, cominciano a seguire passo passo i movimenti di “Massimo ‘u carruzzeri” in un settore che – è stato detto ieri in conferenza stampa – ha permesso di produrre un volume d’affari stimato in un milione di euro al mese.
Il meccanismo lo abbiamo descritto più volte in questi giorni. Il clan acquisiva le licenze per le agenzie di scommesse che venivano date in gestione a persone pulite, senza precedenti penali, che facevano da schermo, per così dire, ed erano chiamate a favorire il gioco dei clienti su due piattaforme: quella legale e riconosciuta dalla legge italiana del cosiddetto “.it” e quella illegale, su piattaforme estere che non prevedevano il pagamento delle imposte all’Erario, del “.com”. Ovviamente il “.com”, non essendo appesantito dalle tasse, garantiva quote più alte agli scommettitori e permetteva al clan di mettersi in tasca cifre notevoli. Il tutto con il gioco delle percentuali che bisognava garantire all’agente “Massimo ‘u carruzzeri”, nonché ai vari livelli della piramide. «Il volume d’affari – viene detto a uno dei potenziali gestori di una sala – è notevole. Centomila euro al mese, ma la metà la devi dare a Lanzafame. Il resto hai le spese dell’affitto, dei dipendenti, di tutto… Comunque se deve andare male ti rimangono 20-25.000 euro al mese». Non male.
E se qualcuno intendeva accontentarsi e non rischiare licenza e fedina penale aderendo alla piattaforma “.com”? Nessun problema: il clan sapeva benissimo quali mezzi utilizzare, viene sottolineato dagli investigatori, per convincere i più riottosi a non esagerare con questo atteggiamento teso alla legalità.
Quanto ai ruoli dei singoli indagati, gli interessi di Salvo venivano seguiti nel catanese dal cugino Giovanni Orazio Castiglia e nel Siracusano e Ragusano da Salvo Bosco e Nino Iacono, supportati da Andrea Sterzi, Giuseppe e Lorenzo Greco, Giorgio Tela, Federico Di Cio, Tiziano Di Mauro e Francesco Bucceri.
Del gruppo di Castiglia facevano parte, invece, i master Nino Russo, Francesco Nania, Andrea Di Bella, Santo D’Agata e, con compiti di direzione e coordinamento degli agenti, Luca Lima, Giovanni Minutola e Antonio Guasta.
Nel corso delle indagini energevano anche le figure di Giovanni Conte, organizzatore della rete di agenzie operanti sui territori di Siracusa, Augusta, Gela, Vittoria, Floridia, collaborato dai master Angelo Antonio Susino, Giovanni Di pasquale e Salvatore Truglio, con compiti di direzione e coordinamento degli agenti Santo Blanco, Massimo Iannelli, Domenico Caniglia, Angelo e Ivano Cavaleri.
Un ruolo particolare nell’ambito dell’associazione per delinquere sarebbe stato rivestito da Alessandro Rosario Lizzoli, che avrebbe fornito il software per i “virtual games”. Quello di cui si sarebbero avvantaggiati Davide Cioffi, Gino Vincenzo D’Anna e Pietro Salvaggio. I tre si sono visti notificare il provvedimento restrittivo, così come Nino Iacono, lo stesso Giovani Conte, Angelo Antonio Susino e Giovanni Di Pasquale, tutti fermati la scorsa settimana, dalle forze dell’ordine incaricate dai Gip territorialmente competenti.