Catania
Catania, le mani del clan Laudani su falsi braccianti agricoli, 17 arresti (tra cui un dipendente Inps)
La Guardia di Finanza ha arrestato 17 persone accusate a vario titolo di associazione a delinquere finalizzata alla truffa a danno dello Stato per il conseguimento di indebite indennità di disoccupazione agricola e corruzione, con alcuni dei fatti aggravati dal “metodo mafioso”. Il provvedimento è stato firmato dal gip del Tribunale di Catania su richiesta della Procura distrettuale.
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L’inchiesta è stata denominata “Podere Mafioso”, e oltre ai 17 arrestati vede anche un’altra ventina di indagati, circa 500 “falsi braccianti agricoli” e almeno una decina di aziende “fantasma”, create al solo scopo di appropriarsi illecitamente di contributi pubblici per quasi un milione e mezzo di euro.
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Le indagini effettuate dal Nucleo di Polizia Tributaria di Catania, sono iniziate alla fine del 2014 e sono state concluse nel dicembre scorso. E’ stato smascherato secondo i finanzieri un “circuito crimninale” capeggiato da Leonardo Patanè, detto “Nardo Caramma”, attualmente in carcere per associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti e arrestato, nel febbraio 2016, per la sua partecipazione al clan Laudani), da Giovanni Muscolino e Antonio Magro, rispettivamente a capo dei gruppo di Giarre e Paternò del clan Laudani (e tutti e due già accusati di associazione a delinquere di stampo mafioso e rinchiusi nel carcere Bicocca di Catania). L’associazione si avvaleva, secondo gli investigatori della Guardia di Finanza, del contributo determinante di ragionieri periti commerciali, di “reclutatori” di braccianti agricoli e della compiacenza di un dipendente Inps di Giarre.
Il sistema vedeva Patanè, Muscolino e Magro, procedere alla costituzione, solo sulla carta, di aziende agricole intestate a persone incensurate per il tempo strettamente necessario a maturare i presupposti per la concessione dell’indennità di disoccupazione agricola.
La rapidità con la quale nascevano e sparivano queste realtà imprenditoriali solo di facciata serviva a eludere ogni controllo o ispezione da parte degli organi competenti. Indispensabile il contributo dei familiari più stretti di Patanè, (la moglie Daniela Wissel, i figli Orazio e Ramona Patanè) e di un ragioniere (Alfio Lisi), tutti sottoposti agli arresti domiciliari.
Il professionista, del tutto subordinato alla volontà di Patanè, era incaricato di formalizzare la costituzione delle aziende agricole, di iscrivere i falsi lavoratori e di chiudere il cerchio “cartolare” con la predisposizione delle buste paga.
Le investigazioni hanno consentito di appurare che il ragioniere era compensato dall’organizzazione attraverso il versamento di contanti (fino a 800 euro a settimana) e la messa a disposizione di un’autovettura.
Altre figure importanti dell’organizzazione erano i cosiddetti “reclutatori” di braccianti agricoli; Michele Cirami inteso Franco, Vincenzo Cucchiara, Agatino Guarrera, Francesco Gallipoli, Fabrizio Giallongo, Ettore Riccobono, Claudio Speranza, Vincenzo Vinciullo, nonché del “coordinatore” Carmelo Tancredi, tutti posti agli arresti domiciliari. Questi ultimi si occupavano di reclutare i falsi braccianti agricoli e di recuperare dagli stessi, anche con la violenza, la parte dell’indennità percepita che spettava all’organizzazione e che ammontava almeno alla metà della somma riscossa. I reclutatori, alcuni dei quali già noti per specifici precedenti per reati contro il patrimonio, erano a loro volta braccianti e vedevano ricompensata la loro “funzione” anche con la percezione dell’indebita indennità.
L’ammontare di quest’ultima, oscillava da un minimo di 3.000 euro a un massimo di 7.000 euro annui. Altro soggetto chiave dell’indagine è Filippo Bucolo (anche lui finito ai domiciliari), dipendente dell’agenzia Inps di Giarre, che, svolgendo le sue mansioni allo sportello, comunicava a Leonardo Patanè l’esatto ammontare delle liquidazioni e seguiva da vicino ogni pratica amministrativa che potesse agevolare l’associazione criminale.
Le attività tecniche hanno fatto emergere richieste di denaro contante da parte del Bucolo rivolte a Patanè e ai suoi familiari. Una truffa – rileva la Guardia di Finanza – dai costi minimi con guadagni enormi e che poteva contare sul consenso sociale delle non poche famiglie delle comunità di Paternò, Giarre e Riposto che beneficiavano di una vera e propria forma illegittima di assistenza sociale.
L’inchiesta ha fatto emergere l’interesse della mafia anche in settori quali quello della percezione dei contributi in agricoltura, un settore in cui le organizzazioni riescono a conseguire facili utili con rischi minimi. Le attività tecniche eseguite dalla Guardia di Finanza durante l’indagine hanno incidentalmente consentito anche di acquisire gli elementi necessari per individuare il responsabile del tentato omicidio di Francesco Pistone (anch’egli già detenuto per la sua appartenenza al clan Laudani) avvenuto il 15 gennaio del 2015 a San Giovanni La Punta.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA