«Per tutelare le mie figlie mi sono rivolto al Tribunale che però, non solo non le ha tutelate ma le ha anzi discriminate». Lo sfogo è quello di un padre catanese, professionista, che cerca disperatamente di tenere unite due sorelle, di 8 e 16 anni, nonostante il matrimonio con la madre sia naufragato. Qualche mese fa è arrivata un’ordinanza presidenziale da parte del Tribunale civile in cui si è disposto l’affidamento delle due minori ai Servizi Sociali ma con un collocamento “scisso”. Ossia la più piccola dovrebbe vivere nella casa coniugale “assegnata” alla madre e l’adolescente invece dovrebbe abiterà con il papà in un altro appartamento.
«Una scelta inaccettabile. Come si può decidere di separare due sorelle?», si chiede il padre, ormai disperato, che ha impugnato l’ordinanza. Il suo avvocato infatti ha fatto reclamo davanti alla Corte d’Appello ed è stata fissata l’udienza a giugno.
Ma per capire meglio i contorni di questa storia, dove sono ancora una volta i figli diventare vittime inconsapevoli di una separazione, è meglio partire dal principio. O meglio da quando il rapporto tra marito e moglie comincia a scricchiolare. Bisogna andare indietro al giugno del 2021. In una prima fase sembrava che si potesse avviare una separazione consensuale ma poi la situazione è degenerata fino a diventare una brutta copia della “Guerra dei Roses”.
Ci sono state anche denunce da parte della donna all’ex marito per maltrattamenti, che sono però state ritenute senza prove e per questo ne è stata chiesta l’archiviazione da parte dell’autorità giudiziaria. La casa di tre vani è divisa con confini ben precisi, padre e figlia maggiore in una camera, madre e sorellina in un’altra.
Per cinque mesi – come documentato nelle dieci pagine dell’ordinanza – addirittura mamma e figlia vivono barricate nella stanza, da dove escono solo la mattina per la scuola. La giudice davanti a uno scenario così complicato decide di nominare un consulente che esclude qualsiasi patologia psichiatrica in capo ai due genitori. Il professionista, alla fine della sua lunga relazione, suggerisce di collocare le minori con il padre e di affidarle ai servizi sociali. Un orientamento però che il Tribunale non ha accolto, motivando il fatto che il trauma subito dalla bambina dalla separazione della madre sarebbe stato troppo pesante da affrontare rispetto a un allontanamento dalla sorella. Con cui però, scrive il giudice, deve mantenere una relazione. E affida alle assistenti sociali il compito di assicurare la «continuità» del rapporto tra le due ragazze.
«Ma è impossibile poter concretamente garantire un rapporto tra le mie figlie visto che dovrebbero vivere in luoghi diversi. Perché mia figlia di 16 anni deve lasciare la casa dove è cresciuta? Perché deve essere discriminata rispetto alla sorella? A cosa è servita la consulenza se poi non è stata presa in considerazione», si chiede il padre. L’uomo pur di tutelare la figlia è rimasto in casa e spera nell’appello. Nel reclamo si evidenzia il «principio europeo» di garantire l’unità dei fratelli nelle decisioni su separazioni e divorzi.
«Purtroppo storie come questa sono sempre più frequenti», dice l’avvocato Elena Cassella, vicepreșidente della Associazione Pater familias che si occupa dei diritti dei padri separati. Il legale per superare questo ostacolo ha una strada: «Partendo dalla riforma Cartabia, che mette al centro l’interesse del minore, stiamo portando avanti l’idea – che potrebbe diventare in futuro una proposta di legge – di assegnare in casi di conflittualità la casa coniugale ai figli, così da far alternare i genitori».