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L'augurio per il Natale

Catania, l’arcivescovo: «Si torni a sperare anche in quello in cui non si crede»

Monsignor Luigi Renna affida il suo pensiero alle pagine de "La Sicilia": «La città si regali la sua lista della speranza»

Di Don Luigi* |

“Fa che io possa sperare ciò in cui non credo più”: mi ha molto colpito questa frase scritta su un foglietto apposto sull’albero di Natale dei desideri della Stazione Termini di Roma. Sono parole che esprimono quanto sia “incorreggibile” in noi il desiderio di sperare, anche quando siamo rimasti delusi da qualcosa o da qualcuno. Ma il Natale non può deluderci, perché come scriveva il poeta francese Charles Péguy: “La Speranza è una bambina insignificante/ che è venuta al mondo il giorno di Natale dell’anno scorso. […] Lei sola, portando gli altri, che attraverserà i mondi passati / come la stella ha guidato i tre re dal più remoto Oriente”

Sono così intrinsecamente uniti il mistero della Nascita di Cristo e la speranza, che il Giubileo che sarà inaugurato la notte di Natale è all’insegna della speranza. “Possa il Giubileo essere per tutti occasione di rianimare la speranza”: è quanto il Papa si è augurato per tutti annunciando l’Anno Santo. Anch’io vorrei che in ciascuno rinascesse una speranza che rinvigorisca la fiducia e l’amore, anche in chi queste virtù che danno forza all’umanità sono come brace mai spenta, che cova luce e calore sotto la cenere. A Natale può nascere la speranza che va al di là di una fede indebolita dal dubbio o dalla delusione per chi avrebbe dovuto essere più credibile; essa può rinascere in chi ha fatto l’errore di considerare il proprio credo come un comodo porto in cui si rifugia l’individualismo che rende algidi e autoreferenziali, anche se si crede nel Dio che è Amore.

Perché possiamo tornare a sperare a Natale? Perché quel Mistero, sepolto sotto la “macchina natalizia” dell’economia e delle feste, celebra un Dio che ha “sposato” la fragilità di ogni persona, del pastore di Betlemme, del lebbroso di Galilea, dell’adultera di Gerusalemme, del carcerato, dello straniero e del povero nel quale si è voluto nientemeno che identificare. Per tutte queste categorie di persone c’è la speranza in chi crede che un atto di bene fatto a loro è fatto a Dio, tanto è indissolubile il “matrimonio” fra la sua divinità e la condizione di quelli che il nostro Verga definiva “vinti”. Si può sperare solo in chi, come diceva Dietrich Bonhoeffer, teologo riformato impiccato nel lager di Flossemburg, fa questa professione di fede, che si può fare solo davanti al presepe: “Non ci interessa un divino che non faccia fiorire l’umano.”

Che cosa possiamo credere e sperare, noi che del Natale e dell’umano forse non abbiamo bisogno, perché ci basta la tecnologia? Il filosofo Theodor W. Adorno aveva definito il progresso come “chiuso” tra due sponde: dalla fionda alla megabomba (oggi avrebbe incluso anche l’intelligenza artificiale). Così commentava Benedetto XVI questa analisi sulla nostra civiltà: “Se al progresso tecnico non corrisponde un progresso nella formazione etica dell’uomo, nella crescita dell’uomo interiore, allora esso non è un progresso, ma una minaccia per l’uomo e per il mondo.” Non ci può illudere una tecnologia senza l’umanità; così come una politica ed una economia a cui bastano la libertà e la forza di decidere senza incrociare lo sguardo dell’uomo, creano illusioni di onnipotenza che sono crollate già tante volte nella polvere della storia. Catania, come ogni città, continuerà a sperare anche in quello che non crede più, solo se ritroverà la strada che le faccia rimettere al centro quell’etica a misura di tutto l’uomo, dalla nascita alla culla, e di tutti gli uomini ai quali il Cristo è venuto indissolubilmente unirsi, dalle zone residenziali, alle periferie e alle sponde del Mediterraneo.

E il Giubileo della speranza, in questo Natale, apre le sue porte a tutta l’umanità, con una “lista della speranza” che papa Francesco ci ha ricordato e che è il vero regalo di Natale: l’alleanza sociale per promuovere le nascite, la cura da dare ai detenuti, agli ammalati, ai giovani, ai migranti, agli esuli, ai profughi e ai rifugiati, agli anziani. La nostra unica ambizione sia quella di lasciare una scia di speranza in queste vite, che sono anche le nostre, che sono anche quella di un Dio che si è fatto uomo. Buon Natale di speranza a tutti!

*Arcivescovo di Catania

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