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Catania, in piazza Teatro Massimo il requiem per la movida che fu

Di Carmen Greco |

Catania – Requiem per la movida. La tanto mitizzata stagione (permanente) catanese è ormai solo un ricordo dei cinquantenni. Di “movida” non vuol sentirne parlare più nessuno, soprattutto i residenti che – ammettono – oggi non farebbero la stessa scelta di andare ad abitare nel cuore del centro storico. Laddove in altre città italiane i centri storici sono coccolati, valorizzati e curati, qui è tutto lasciato alla buona volontà di commercianti illuminati che se la cantano e se la suonano, con alterne fortune. La zona peggiore è quella attorno piazza Teatro Massimo, non a caso sfrattata – oltre che nella dignità – anche nel nome (per la toponomastica è piazza Vincenzo Bellini) un grande pub a cielo aperto che soprattutto venerdì e sabato si riempie di bande di ragazzini con “shottini” da un euro in mano.

«Il contenuto del contenitore è cambiato, la chiamiamo ancora oggi movida ma di movida è rimasto molto poco, è solo uno sballo senza qualità – commenta Giovanni Trimboli, presidente provinciale dei ristoratori Fipe-Confcommercio, il sindacato che conta 1.400 iscritti a Catania e provincia – lo dimostra il basso costo dell’alcol che viene consumato. La richiesta si è abbassata e la maggior parte degli operatori si è adeguata al mercato, il problema è che laddove si paga uno shottino 50 centesimi e un drink 2,50 euro, c’è qualcosa che non funziona. Va da sè che il basso costo fa avvicinare anche persone che di solito non si possono permettere un bere di qualità ed ecco che la fisionomia del frequentatore della movida cambia e, se non fai niente, si arriva ad una movida fuori controllo. Secondo me il controllo del territorio è essenziale, quando c’è una vendita di alcool a basso costo, qualcuno dovrebbe porsi il problema di andare a vedere se l’etichetta delle bottiglie corrisponda davvero al liquido che c’è dentro. Ma questo è solo uno dei problemi, ci sono posti dove si balla senza autorizzazione e sono gli unici in cui gente “impresentabile” può andare, perché in discoteca non avrebbero accesso. Quando tutto questo “controllo” viene a mancare si entra nell’illegalità, le persone perbene cambiano quartiere, e gli altri rimangono, con la complicità “imprenditori” che sono solo delle comete, oggi ci sono e domani no. Per me l’unica soluzione è la presenza delle forze dell’ordine, quantomeno sarebbe un deterrente rispetto a determinati atteggiamenti».

Nino Ferlito, abita in via Pulvirenti con la sua famiglia da 38 anni ed è uno dei fondatori dell’Associazione centro Storico di Catania, «ma noi non la chiamiamo movida – dice – tutto quello che c’è qui intorno è solo un danno che viviamo quotidianamente rischiando anche la pelle. È una zona abbandonata a se stessa a due passi dal Comune e dal Duomo, ci sono miriadi di localetti malsani rispetto a quelli “seri”, che servono solo a spacciare alcool scadente. Magari sono dei buchi i cui gli avventori, di fatto, occupano vaste aree di suolo pubblico e lì intorno, nella confusione si spaccia anche droga. Noi viviamo i problemi di tutti i cittadini catanesi ma moltiplicati per dieci perché qui la sera è invivibile. La polizia non passa, i vigili urbani non esistono, anzi hanno paura ad entrare, i cosiddetti “ragazzi” non sono più tali ma adulti componenti di bande vere e proprie che fanno quello che vogliono. Del resto sanno che qui è zona franca, non è una zona ztl è una zona libera da tutto. Nel 90-95 era qualcosa di carino c’erano pochi locali ed era piacevole, ma ora piazza Teatro Massimo è il centro del degrado di Catania». «Io la chiamo follia notturna, altro che movida – gli fa eco Daniela Catalano, storica presidente dell’Associazione -. Si coglie chiaramente questo senso di maggiore arroganza e di impunità in quel quadrilatero di strade che ingloba via Pulvirenti, piazza Scammacca, via Landolina, via Sant’Orsola, piazza Teatro Massimo – e la cosa più grave è che l’unica aggregazione di questi ragazzi è intorno all’alcool. Però sembra un problema che riguarda solo le 5000 famiglie che abitano qui. Eppure io vedo gli abbonati del Teatro Massimo, i frequentatori dei locali, le famiglie che vorrebbero passeggiare in questi luoghi peraltro bellissimi. Penso sia una questione che riguardi tutta la città, o no?».

Ma c’è movida e movida. Un esempio positivo è quello degli attivisti di Gammazita che l’aggregazione sociale l’hanno creata attorno alla cultura e non solo per il quartiere, per tutta la città. «Questo – fa notare Veronica – porta ad una qualità del pubblico che frequenta la piazza del Castello Ursino, differente rispetto a chi va in piazza Teatro Massimo solo per bere. È vero che lì ci sono bande che rompono le scatole e cercano la sfida. Sarebbe bello ritornare a fare musica per strada piuttosto che vendere cicchetti a un euro e magari offrire un intrattenimento educativo ai ragazzi che vanno in giro per la città, l’impoverimento culturale é sicuramente una delle cause anche di questo tremendo stupro di gruppo. e, se posso dire, non può leggere “ragazzi di buona famiglia”, che vuol dire, che stuprano solo quelli di cattive famiglie? La cultura machista viene diffusa dai genitori, io sono cresciuta in un quartiere “bene” e da grande sono venuta ad abitare in un quartiere popolare, ma il rispetto che mi hanno sempre mostrato gli uomini qui a San Cristoforo, non l’ho mai trovato altrove».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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