Restano avvolti nel mistero i frammenti di teschio umano ritrovati lunedì pomeriggio tra le rocce laviche di via Biblioteca, in quegli anfratti che profumano di storia tra il Monastero dei Benedettini e Palazzo Ingrassia, una volta storica sede di Medicina Legale oggi importante polo umanistico che ospita il Disfor, il Dipartimento di Scienze della formazione. Lunedì a fare scattare l’intervento degli agenti delle Volanti è stata la segnalazione di una studentessa che, in pausa all’ora di pranzo, si è accorta dei frammenti. I resti sono stati recuperati e la procura ha affidato l’incarico a un paleontologo.
Avvolti nel mistero, dicevamo. Perché a fine gennaio un altro ritrovamento ha “movimentato” le attività di controllo del territorio dei carabinieri del nucleo Radiomobile che hanno recuperato altri resti in una zona del centro storico in cui ci sono lavori di ristrutturazione. I frammenti trovati sono stati consegnati ai colleghi della Compagnia di Piazza Dante.
Scheletri
Scoperte sorprendenti, curiose e affascinanti che si discostano da quelle archeologiche “ufficiali” che in città hanno riguardato proprio quella zona come spiega Francesco Mannino, presidente di Officine Culturali, l’associazione che si occupa di valorizzare il Monastero dei Benedettini e il museo di archeologia a Palazzo Ingrassia.
«Negli anni di scheletri ce ne sono stati – dice Mannino a La Sicilia – un esempio risale a quando è stata aperta la cripta benedettina della chiesa di San Nicolò la Rena per i lavori di recupero. È chiaro che è possibile valutare una prossimità geografica con i resti trovati lunedì, in uno spazio sopra la lava del 1669. È raro che siano lì da prima dell’eruzione, è senz’altro più plausibile che qualcuno ce li abbia portati. Nel 1984, nel cortile del Monastero del Benedettini – ricorda Mannino – furono ritrovati uno scheletro completo e due teschi di bambini che sono stati datati a circa 5mila anni fa e che risalirebbero all’era del neolitico e al primo eneolitico come testimonia la pubblicazione nel 2005 della docente Maria Grazia Branciforti. E la cosa interessante di quello scheletro, che fu ribattezzato “la prima catanese”, è che nulla di più antico era stato trovato dagli archeologi in città. Quello ha rappresentato una sorta di punto zero della civiltà che ha abitato la collina di Monte Vergine e quindi la zona del Monastero».
Gli universitari
Lungo i muretti di via Biblioteca e nell’anfiteatro all’aria aperta tra graffiti, street art e alberi secolari, intanto, gli studenti universitari continuano come fanno giornalmente tra una lezione e un seminario a rilassarsi approfittando di un pallido sole che ha preso il posto della pioggia. C’è chi giura di avere visto su Tik Tok un video in cui un giovane ricostruisce di un altro ritrovamento vicino a Villa Cerami altra sede storica dell’Ateneo, che ospita la Facoltà di Giurisprudenza. «Non sarà un po’ di suggestione – riflette Giulio – lunedì eravamo qui all’ora di pranzo, io avevo finito il laboratorio di lingua e si è scatenato il panico. La polizia è arrivata per i rilevi . E un capannello di curiosi non ha fatto altro che fantasticare su quei frammenti. Saranno mica scheletri nell’armadio? Ironizza e conclude Giulio».