Il Teatro Massimo Bellini celebra con un concerto l’anno della fondazione della città di Catania: il 2751° compleanno. Questa sera (ore 21, Teatro "Massimo" Bellini, ingresso libero), all’interno del cartellone di Bellini International Context, si terrà un gala lirico – diretto da Eckenhard Stier, maestro del Coro Luigi Petrozziello – con musiche di Vincenzo Bellini, Richard Wagner. E ancora brani di autori contemporanei: Matteo Musumeci, Emanuele Casale, Joe Schittino. Orchestra e Coro del Teatro Massimo “Vincenzo Bellini” di Catania. Questo che pubblichiamo è un nuovo intervento sulla fondazione di Catania del professore Massimo Frasca, Direttore di “Cronache di Archeologia” dell’Università di Catania, Ricercatore Senior Associato Cnr-Ispc Catania.
Massimo Frasca
Con la fondazione di Catane, nel 729/8, che faceva seguito a quelle di Naxos a nord, e di Leontinoi a sud, i Calcidesi provenienti dall’isola di Eubea in Grecia portarono a compimento l’ambizioso disegno di assicurarsi il possesso della fertilissima Piana di Catania, la cui coltivazione era essenziale per la nascita e lo sviluppo delle città coloniali. I luoghi in cui s’insediavano gli immigrati greci non erano scelti a caso: essi dovevano rispondere a dei requisiti costanti e imprescindibili. Solitamente si trattava di piccole isole, penisole o modeste alture vicino al mare, in cui erano fondamentali la presenza di un porto naturale che consentiva di intrattenere dei contatti trasmarini e la vicinanza di corsi d’acqua che assicuravano un agevole collegamento con l’entroterra.
Il sito scelto per Catane, al centro del golfo omonimo dominato dalla mole dell’Etna, presentava tutti i requisiti per una fondazione coloniale. Una piccola penisola falcata, in seguito occupata dalla mole del Castello Ursino e poi sommersa dalle lave del 1669, si protendeva sul mare delimitando un porto naturale in cui sfociava un corso d’acqua, identificato con il fiume Amenano, ricordato dalle fonti per il suo andamento irregolare. L’Amenano scorreva ai piedi della collina di Montevergine, oggi occupata dall’imponente edificio settecentesco del Monastero dei Benedettini, dai fianchi molto ripidi e facilmente accessibile soltanto da nord attraverso un antico percorso mantenuto dall’attuale via Antico Corso. La sommità della collina, già sede di villaggi preistorici, costituì il luogo ideale per l’insediamento dei primi coloni calcidesi e per lo sviluppo urbano della città nel corso di tutta la sua lunga storia.
Senza dubbio i capi della spedizione (gli ecisti) conoscevano i luoghi in cui fondare le città. Questo è accertato in particolare proprio nel caso di Teocle, il fondatore di Naxos e Leontini, e probabilmente anche di Catane, anche se i Catanesi indicarono un certo Evarco, nel cui nome parlante (il buon condottiero) si può forse riconoscere lo stesso Teocle. Secondo il racconto del geografo Strabone, Teocle, spinto dai venti sulle coste della Sicilia, si sarebbe reso conto dell’inconsistenza degli indigeni e della feracità dei luoghi, per cui, ritornato in Grecia, forte delle sue conoscenze dei luoghi, riuscì a convincere i Calcidesi a emigrare in Sicilia. La notizia della poca consistenza degli indigeni, che i Greci chiamavano Siculi, trova conferma nel caso di Catane, dove gli scavi effettuati all’interno del Monastero dei Benedettini e in altre aree della città, hanno dimostrato che al momento dell’insediamento dei Calcidesi il sito di Catania era pressoché disabitato.
Le grandi potenzialità del territorio etneo, e in particolare della grande pianura alluvionale attraversata dai fiumi Simeto, Dittaino e Gornalunga, consentirono un rapido sviluppo economico e culturale della città. Le fonti tramandano un’origine catanese per il legislatore Caronda. A Catane avrebbero soggiornato anche il filosofo Senofane di Colofone e il poeta Stesicoro, che morì e fu sepolto nella città etnea.
Poche notizie si hanno sui culti praticati a Catane. Tra le divinità oggetto di culto erano certamente Apollo, venerato anche a Naxos e a Leontini, e il fiume Amenano, raffigurati sulle splendide monete d’argento coniate a Catane da maestri incisori. Tra le divinità più importanti del pantheon catanese era certamente Demetra, il cui culto era ancora famoso in età romana, come attesta Cicerone che ricorda il santuario di Cerere tra quelli depredati da Verre. Il santuario di Demetra, che la tradizione antiquaria ubicava all’interno del Bastione degli Infetti, ha trovato una più corretta collocazione nelle pendici sud-orientali della collina di Montevergine, nell’area ora occupata dalla Chiesa di San Francesco e non lontano dal teatro ricavato nel pendio della collina, al quale era certamente connesso.
Tra le dediche del santuario di Demetra doveva essere l’eccezionale rilievo in marmo che costituisce uno degli oggetti di maggior pregio del Museo di Castello Ursino. La scultura, importata da Atene dove fu prodotta intorno al 420 a. C., raffigura Demetra con la figlia Core, identificate anche da un’iscrizione in dialetto dorico sul listello che delimita in alto la scena. Demetra è preceduta dalla figlia che reca in mano una lunga fiaccola, simbolo delle dee, raffigurata vicino a una cavità circolare, forse l’ingresso degli Inferi, in cui Core/Persefone doveva risiedere parte dell’anno, come sposa di Ade.