Catania – Mantenere la leadership, continuare a gestire il potere. Avrà pure avuto qualche acciacco determinato dagli anni, ma il settantenne Giuseppe Cesarotti non ha mai dato la sensazione di volersi fare da parte. Neanche a fronte delle spallate dei “giovani leoni”. Lo hanno sottolineato a più riprese, nel corso della conferenza stampa dell’operazione Samael, i magistrati coordinati dal procuratore Carmelo Zuccaro e i carabinieri del Ros guidati dal colonnello Antonio Parillo. E testimonianza di tutto ciò è possibile trovarla direttamente nell’ordinanza di custodia cautelare emessa nei confronti dell’uomo e di altre otto persone dalla Gip Giuseppina Montuori.
Per comprendere meglio certe dinamiche occorre tornare indietro a poco meno di due anni fa, allorquando i carabinieri della compagnia di Gravina fecero scattare in fretta e furia un blitz contro una banda di estortori legati a Pietro Puglisi, genero ergastolano del boss pentito e ormai defunto Giuseppe Pulvirenti “ ‘u Malpassotu”. Fra quegli arrestati Alfio Carciotto e Salvatore Tiralongo, che avevano provato a chiedere il pizzo ad uno dei più noti bar di Mascalucia, i cui titolari sarebbero stati legati, però, fors’anche con affari in comune, proprio al Cesarotti. Appreso di quel che stava accadendo, il socio in affari di Nitto Santapaola, Aldo Ercolano e del defunto Francesco Mangion (“Ciuzzu ‘u firraru”), scese subito in campo – era il mese di gennaio del 2018 – e fece valere la propria posizione. In ciò determinando un notevole risentimento del Carciotto che, avvalendosi della collaborazione del Tiralongo, avrebbe deciso di “dare una lezione” al più noto sodale.
Di tale progetto i due avrebbero parlato a più riprese e a un certo punto il Tiralongo si sarebbe messo in moto per procurare la pistola con cui “lavare l’onta”. Tali circostanze sarebbero arrivate, in buona parte, anche all’orecchio di “don Pippo” Cesarotti, il quale avrebbe a sua volta preso in considerazione l’ipotesi di risolvere tali problemi con una violenta azione ritorsiva nei confronti di chi aveva manifestato la volontà di ucciderlo. E’ inutile dire che il blitz dei carabinieri, accelerato all’inverosimile, evitò che si potesse verificare uno scontro aperto – ovviamente con vittime – all’interno della stessa famiglia Santapaola-Ercolano.
Sul fatto che il bar di Mascalucia fosse “affare” della famiglia di Cosa nostra catanese hanno rilasciato precise rivelazioni anche l’ex boss pentito, Santo La Causa, e il collaboratore di giustizia Ignazio Barbagallo: «Quando in passato il bar era stato obiettivo di richieste estorsive da parte di esponenti di “Cosa nostra”, Cesarotti ha puntualmente fatto valere il proprio rapporto diretto con i due fratelli che di quel bar erano i titolari».