CATANIA – Quattro presunti appartenenti alla frangia della famiglia Santapaola-Ercolano operante nel territorio di Belpasso capeggiata da Carmelo Aldo Navarria, di 54 anni, sono stati arrestati dai carabinieri del Nucleo investigativo del Comando provinciale di Catania al temine di indagini, coordinate dalla Procura etnea, che hanno fatto piena luce sull’omicidio di un imprenditore agrumicolo di Paternò, Fortunato Caponnetto, scomparso l’8 aprile del 2015 e vittima di “lupara bianca”.
Secondo quanto accertato, il movente dell’omicidio dell’imprenditore sarebbe da addebitare ad una serie di concause: al fatto che Caponnetto avesse prima dato e poi negato l’assenso ad assumere Navarria nella sua azienda, preferendogli poi un presunto appartenente ad un’altra organizzazione mafiosa operante nel paternese, che avesse licenziato la moglie di quest’ultimo, la cui assunzione gli era stata fittiziamente imposta dallo stesso Navarria tempo addietro, e avesse creato dissidi con appartenenti ad un’altra associazione mafiosa per un debito che un suo parente aveva contratto con questi ultimi e di cui Navarria si sarebbe fatto garante.
I provvedimenti restrittivi sono stati tutti notificati in carcere allo stesso Navarria, a Gaetano Doria, di 48 anni, detenuto nella Casa circondariale di Siracusa, a Gianluca Presti, di 36 anni, detenuto nel carcere di Catania-Bicocca, ed a Stefano Prezzavento, di 32 anni, detenuto nella Casa circondariale di Siracusa. Tutti e quattro sono in carcere per un’estorsione aggravata dal metodo mafioso ai danni della ‘Lavica Marmì. I militari hanno eseguito, su delega della Procura distrettuale, un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Gip su richiesta della locale Dda.
Caponnetto fu dapprima picchiato e poi strangolato con il metodo della “garrota”. Il suo cadavere fu poi completamente distrutto con il fuoco alimentato da vecchi pneumatici secondo il tradizionale modus operandi utilizzato nel passato dai “malpassoti”.
L’ordinanza scaturisce da un’indagine, denominata “Araba Fenice”, avviata all’indomani della scomparsa di Caponnetto, compiuta attraverso intercettazioni telefoniche ed ambientali, pedinamenti e video-riprese, avvalorate dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Francesco Carmeci, già organico alla frangia di Navarria e che era stato presente alle fasi salienti del delitto.
Navarria, ritenuto dagli investigatori uomo di fiducia a disposizione del boss Giuseppe Pulvirenti, detto ‘U Malpassotu’, braccio armato di Nitto Santapaola, fu scarcerato il 23 giugno 2014 dopo ventisei anni e mezzo di reclusione in seguito ad una condanna all’ergastolo – poi ridotta prima a 30 anni e poi a 26 anni e mezzo – in via definitiva per sei omicidi e si sarebbe posto al comando di un gruppo alle dirette dipendenze di Francesco Santapaola, pro-cugino del boss Benedetto Santapaola, arrestato dai carabinieri nell’aprile del 2016 nell’ambito dell’indagine ‘Kronos’.