Catania – Catania ha un cancro che si chiama mafia e le metastasi hanno ormai invaso il tessuto imprenditoriale, economico, finanziario al punto che ovunque ci sono referenti, prestanome e sodali delle famiglie mafiose catanesi, sulle quali spicca sempre, in modo assai preponderante, quella dei Santapaola-Ercolano. Un malato (quasi) inoperabile, dunque, Catania, «che resta una città con una storia ancora da raccontare. Il problema è non farla raccontare soltanto alle sentenze». Serio, come sempre, e preoccupato per le sorti della “sua” città, Claudio Fava si presenta così ieri, alle 15,30 in punto nel salone della Prefettura, ai giornalisti, per tracciare una sintesi di quanto emerso dalle audizioni avute nelle ore precedenti con il prefetto Claudio Sammartino, il questore Mario Della Cioppa, il comandante dei carabinieri Raffaele Covetti, il comandante della Finanza Raffaele D’Angelo, il capo centro Dia Carmine Mosca e, in ultimo ma non per importanza, il procuratore della Repubblica Carmelo Zuccaro, il “chirurgo” che sta cercando di estirpare questo brutto tumore.
Fava, presidente della Commissione regionale parlamentare di inchiesta e di vigilanza sul fenomeno della mafia e della corruzione in Sicilia, ieri era a Catania nell’ambito di un ciclo di incontri istituzionali nelle prefetture siciliane. Con lui c’erano sei componenti della Commissione, Luisa Lantieri, Giuseppe Zitelli, Roberta Schillaci, Gaetano Galvagno, Nicola d’Agostino e Rossana Cannata. Dalle audizioni, dice Fava, «è emersa l’esistenza di una zona grigia molto ampia con un pezzo di imprenditoria, non affiliata, ma disponibile a un accordo con le organizzazioni mafiose», e «la capacità della famiglia Santapaola-Ercolano di essere ancora l’asse portante della geografia mafiosa nella provincia», condizione che determina «consenso sociale», perché la mafia, gestendo potere, riesce anche a procurare posti di lavoro.
Tra gli interessi della criminalità organizzata Fava cita «speculazioni immobiliari, terreni agricoli che, con varianti e “semafori verdi” della struttura amministrativa, diventano edificabili e sedi di centri commerciali, finanziamenti da fondi coesione, intestazioni fittizie di beni e centri scommesse». Il presidente della Commissione antimafia parla anche della raccolta dei rifiuti, che definisce «un buco dentro il quale occorrerebbe guardare» a causa delle «proroghe concesse dalle amministrazioni comunali alle imprese con provvedimenti di somma urgenza quando emergenza non ce n’era». Fava sottolinea la «sofferenza del tessuto imprenditoriale sano che rischia di essere soffocato dalle imprese colluse». Catania è una città di «spazi e territori contesi», dove «la crisi economica è diventata crisi sociale, con 31 zone a rischio individuate e piazze di spaccio distribuite tra famiglie che convivono in sufficiente armonia, in nome di una pax mafiosa che conviene a tutti».
Durante questi colloqui, dice Fava, è emersa anche «la totale inadeguatezza della polizia municipale, in quantità e qualità», per fortuna compensata (in parte) «dallo sforzo compiuto dalle forze dell’ordine per riprendersi il controllo di quei territori spesso marcati con “bandiere” – per esempio i concerti in piazza dei neomelodici – che stanno a significare “questa è zona nostra e qui comandiamo noi”».
«Nella sua audizione – conclude a margine della conferenza stampa la deputata Roberta Schillaci – il procuratore Zuccaro ha detto una cosa che mi piace condividere: bisogna colpire la corruzione perché è la principale porta d’accesso della criminalità nelle istituzioni, come insegna il “sistema Montante”. La commissione Libe che abbiamo incontrato a Bruxelles ci ha detto che la corruzione comporta 51 miliardi di euro di mancato sviluppo economico per gli Stati membri. Un’enormità che non possiamo più tollerare».