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Arresti Calabria, pentito rivela: “A Catania la mafia appoggiò Forza Italia”

Di Mario Barresi |

Viaggio dentro la montagna di carte di “Rinascita-Scott”: 334 arresti, per un totale di 416 indagati. Se il procuratore Nicola Gratteri l’ha definita «la più grande operazione dopo il maxi processo di Palermo», qualche motivo ci sarà. E uno di questi è la ricostruzione di trame in cui quel «sistema politica-massoneria-‘ndrangheta» s’incrocia spesso con la Sicilia. Di Giacomo, ex esponente di spicco dei “Mussi di ficurinia” racconta ai magistrati il progetto di Riina di «estendere il coinvolgimento nella lotta alle istituzioni anche alla ‘ndrangheta ed alla camorra, anche in rivendicazione di alcuni favori resi nel tempo a queste organizzazioni». E in quel contesto si collocano i «debiti di riconoscenza» delle ‘ndrine calabresi, che «per sdebitarsi» fornirono «appoggio ed esecutori materiali per l’omicidio del giudice Scopelliti», pg di Cassazione nell’ultimo round del maxi-processo. Poi la stagione delle stragi e la «forte risposta di contrasto dello Stato». E in «quel contesto», rivela Di Giacomo, arrivò l’ordine di appoggiare, sotto il Vulcano, il nuovo partito di Silvio Berlusconi su cui vi erano «forti aspettative affinché risolvesse i problemi».

Di Giacomo è stato uno dei testimoni più importanti del processo sulla trattativa Stato-mafia. E anche in quel contesto parlò molto di Mazzei, “’u carcagnusu”, boss dai forti legami con l’estrema destra («Anche per questo piaceva a Bagarella»), che avrebbe dato l’ordine di sostenere Forza Italia. Mazzei fu arrestato nel 1992, quando ancora il progetto del nuovo partito di Berlusconi era meno che embrionale. Ma il boss catanese non ha mai avuto problemi a comunicare le sue disposizioni da dentro una cella. Emblematica, nel 1998, fu un’operazione delle Dda di Palermo e Catania da cui emerse, fra l’altro, che Mazzei, recluso al 41 bis, «disponeva della complicità necessaria per ordinare agli affiliati l’esecuzione di omicidi attraverso un telefono Gsm con scheda prepagata». Di Giacomo, ai pm di Catanzaro, precisa che «il tentativo di Riina di coinvolgere calabresi e napoletani nelle sue strategie, non riguardava soltanto la parte “stragista” della sua strategia, ma anche quella relativa all’appoggio elettorale a Forza Italia. Anche di questo ho saputo dal Mazzei». E aggiunge: «So che la ‘ndrangheta collaborò in questo senso».

Fra le conferme nelle carte di “Rinascita-Scott” un’intercettazione del 20 luglio 2018. Giancarlo Pittelli, fra gli arrestati, avvocato massone, ex parlamentare di Forza Italia ora in Fdi, ritenuto dai pm «uomo-cerniera» fra cosche, politica e logge. «Ragazzi, ragazzi, Dell’Utri… io lo so perché Dell’Utri la prima persona che contattò per la formazione di Forza Italia fu Piromalli a Gioia Tauro non so se ci… se ragioniamo, tu pensa che ci sono due mafiosi in Calabria, che sono i numeri uno in assoluto, uno è del vibonese e l’altro è di Gioia Tauro, uno si chiama Giuseppe Piromalli (…) e l’altro si chiama Luigi Mancuso, che è più giovane e forse più potente… io li difendo dal 1981, cioè sono 37 anni che questi vivono qua dentro… pazzesco…». Fu lo stesso Di Giacomo, al processo sulla trattativa, a svelare la strategia degli attentati alla Standa di Catania «fatti per assoggettare Berlusconi e indurlo al pagamento di una tangente» e poi «per realizzare un nuovo progetto politico, per aprire un nuovo filone dopo l’omicidio Lima che era un altro canale per il mondo politico».

Il pentito rivelò anche di un incontro fra Marcello Dell’Utri e Aldo Ercolano. Su quest’ultimo, altro big della mafia catanese, nelle 10.211 pagine della prima di tre informative del Ros di Catanzaro (descritte vicende “catanesi” che riguardano anche magistrati e imprenditori) emergono altri particolari. In un’intercettazione l’avvocato Antonio Galati racconta all’ex vice capo della Mobile di Vibo Valentia, Emanuele Rodonò: «Io vado da Jimmy Miano, a interrogarlo (in carcere, ndr)! … per conto di Luigi Mancuso! […] Jimmy Miano, a me dice: «dite a Luigi Macuso di guardarmi ad Alduccio!…». Galati (già condannato in primo grado per concorso esterno in associazione mafiosa) è lo storico legale della cosca Mancuso, smantellata dal blitz di giovedì. E «Alduccio», secondo il Ros dei carabinieri, è Ercolano. La “raccomandazione” di Miano, capo dei cursoti milanesi morto nel 2005, non è recente. Ma l’intercettazione è del 2011, tratta dall’operazione “Purgatorio”. L’avvocato amico dei mafiosi racconta al poliziotto (originario del Catanese, assolto nel 2018 dall’accusa di aver favorito la ‘ndrangheta) dei suoi rapporti con Turi Cappello e con Ercolano, «entrambi detenuti a Cuneo». Aggiungendo, con una certa complicità: «E io il contatto con Aldo ce l’ho…». Ercolano non è più recluso al 41 bis. Claudio Fava, presidente dell’Anfimafia regionale, ha chiesto al ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, di ripristinare il carcere duro per il boss.

Twitter: @MarioBarresi

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