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Arrestati due rapinatori pendolari c’è pure l’omicida del “Mama Sea”

Di Concetto Mannisi |

Questa volta no, però. Questa volta al 25enne Francesco Guardo e ai suoi cinque complici – fra questi il catanese Marco Di Mauro, di 52 anni – i carabinieri di Venezia hanno presentato il conto: un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per associazione per delinquere finalizzata alle rapine con sequestro di persona.

Si tratta di quattro colpi, tentati o consumati (due per parte), che fra settembre e novembre del 2015 avrebbero permesso ai sei destinatari del provvedimento restrittivo di mettere da parte qualcosa come trecentomila euro. Non a caso, nell’ambito di questa operazione, i militari dell’Arma hanno anche sequestrato conti correnti, autovetture e cassette di sicurezza.

Ovviamente non si esclude che i sei possano avere messo lo zampino in altri raid, ma questi sono approfondimenti che verranno eseguiti in un secondo momento. L’importante, adesso, era definire una situazione già cristallizzata e che ha portato in carcere, oltre a Francesco Guardo (in effetti già recluso, per i fatti del “Mama Sea”, nella casa circondariale di Prato) e Marco Di Mauro, anche il 47enne Andrea Gibin (di Chioggia) e il 51enne Stefano Valtolina (di Milano). Altre due donne, la 45enne Silvia Ravagnan e la 28enne Serena Gibin, entrambe chioggiote, sono state sottoposte all’obbligo di dimora.

L’indagine dei carabinieri ha permesso di accertare l’esatta modalità dei colpi: una tentata rapina nella filiale di Sant’Anna di Chioggia del Monte dei Paschi di Siena, il 30 settembre; una tentata rapina ai danni della Cassa di Risparmio di Ferrara, filiale di Porto Viro, il 19 novembre; la rapina ai danni della filiale di Ceggia della Banca San Biagio del Veneto Orientale, il 25 novembre; la rapina alla filiale di Copparo della Banca Popolare dell’Emilia Romagna, il 27 novembre.

La banda effettuava numerosi sopralluoghi, anche entrando negli istituti di credito, scegliendo quelle ritenute più “convenienti” anche in funzione delle vie di fuga disponibili: i tragitti venivano percorsi, per prova, ripetutamente. Una volta in azione, il gruppo dimostrava determinatezza nella fase esecutiva, con sequestro di persona ai danni di impiegati e clienti, che venivano spogliati di denaro e oggetti di valore, nonché dei cellulari, e rinchiusi a chiave all’interno di locali di servizio, fino alla conclusione del colpo.

Inutile dire che quando si è compreso che dietro ai colpi consumati e tentati c’erano probabilmente sempre le stesse persone, le esigenze di “definire la vicenda” si sono fatte sempre più pressanti e, pian piano, è stato messo il sale sulla coda di tutti i partecipanti ai raid. Compreso Francesco Guardo che, nel frattempo, aveva avuto modo di mettersi ulteriormente nei guai con la brutta storia del “Mama Sea”. In quella circostanza ( era lo scorso 7 luglio) Francesco Guardo e Carmelo Platania ebbero modo di “pizzicarsi” all’interno del locale: l’intervento della sicurezza mise fine alla contesa, ma gli animi non si placarono. Francesco Guardo andò a prendere la propria auto parcheggiata lungo la via Antonello da Messina e, non appena vide passare il rivale, in compagnia di un amico riuscito a salvarsi, lo arrotò. La vittima morì dopo 20 giorni di sofferenze.

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