CATANIA – Catania. Nel Romanzo Criminale del Cara di Mineo si chiude il lungo capitolo delle indagini. E il prossimo 28 marzo – alle 9,30 nell’“aula 3ª Gip” al piano terra del tribunale di Catania – si aprirà un’altra pagina: l’udienza preliminare, davanti al gup Santino Mirabella. Sono 18 le richieste di rinvio a giudizio notificate dai pm Raffaella Vinciguerra e Marco Bisogni per la costola etnea di Mafia Capitale. In tutto 17 persone, più una coop, a vario titolo accusate di turbativa d’asta negli appalti per il centro di accoglienza migranti più grande d’Europa, e di corruzione aggravata che in taluni casi configura il voto di scambio.
Poche sorprese, rispetto ai 23 destinatari dell’avviso di conclusione indagini dello scorso novembre: gli indagati eccellenti ci sono tutti. La Procura di Catania chiede di processare il sottosegretario all’Agricoltura, Giuseppe Castiglione, all’epoca soggetto attuatore del Cara, insieme con il suo grande accusatore Luca Odevaine; il sindaco di Mineo, Anna Aloisi, ex presidente del consorzio dei Comuni “Calatino Terra d’Accoglienza”; l’ex direttore del consorzio, Giovanni Ferrera; gli ex vertici dell’Ati pigliatutto: La Cascina (Salvatore Menolascina, Domenico Cammisa, Francesco Ferrara e Carmelo Parabita), Sisifo (Salvo Calì); dipendenti e tecnici di Pizzarotti, proprietaria del Residence degli Aranci e poi nell’Ati (Stefano Soncini, Fabrizio Rubino e Aldo Buttini), tre lavoratori di Mineo (Carmelo Limoli, Francesco Mandrà e Agrippina Gulizia) assunti, secondo l’accusa, in cambio di voti nelle coop di altri due indagati: Rocco Ferraro e Paolo Ragusa. La 18ª notifica è per il consorzio Sol.Calatino.
Fuori dal processo in cinque: Giuseppe Scornavacche e Francesco Milazzo (rispettivamente responsabile amministrativo e della ragioneria al consorzio dei comuni), con «posizioni giudicate separatamente»; gli assunti Silvana Camiolo, Riccardo Tangusso e Annamaria Damigella.
Resta nella sostanza immutato, rispetto alla discovery degli atti, l’impianto accusatorio. La prima corposa parte riguarda le gare d’appalto per la gestione dei servizi del Cara fra il 2011 e il 2014, intervallata da sette proroghe avallate da un protocollo con la Prefettura. Qui si configura l’accusa di turbativa d’asta aggravata e continuata. Prima viene «individuato preventivamente», scrivono i pm Vinciguerra e Bisogni nella richiesta di rinvio a giudizio, il soggetto «che avrebbe vinto l’appalto» per il quale Castiglione, assieme a Odevaine e Ferrera (presidente e membro della commissione) «predisponevano i contenuti del bando con la precipua finalità di garantire il successivo affidamento» alle coop “predestinate”, i cui vertici «si costituivano in Ati solo dopo aver ricevuto rassicurazioni sull’aggiudicazione dell’appalto da parte del Castiglione». Due distinti capi d’imputazione, che coinvolgono anche i vertici delle coop, riguardano il prima e il durante la gara. Nella quale i «punteggi determinati» sono la disponibilità di un centro produzione pasti nel raggio di 30 chilometri dal Cara e le «specifiche relazioni con enti e associazioni di comprovata esperienza» nel Catanese.
Lo schema si ripropone nel 2014, per il bando che Raffaele Cantone definì «cucito su misura»: quello da 100 milioni. L’Ati cambia l’ordine degli addendi: Casa della Solidarietà capofila al posto di Sisifo, entrano Pizzarotti (proprietaria del residence) e Croce Rossa. Ma anche in questo caso, per i pm, Castiglione, Odevaine e Ferrera (con la new entry del sindaco Aloisi) sono responsabili della turbativa d’asta, assieme a manager e dipendenti delle cooperative. Con un disciplinare di gara che «avrebbe valorizzato i precedenti affidamenti realizzati attraverso la commissione di reati» con altri criteri sartoriali, ma anche «un’unica gara per la gestione di una pluralità di attività» che dovevano essere invece aggiudicate «con separate e distinte procedure di gara».
Ed è in quest’ultimo contesto che la Procura individua le ipotesi corruttive. Corruzione di un soggetto pubblico, per il sottosegretario e il sindaco di Mineo, perché «accettavano la promessa di voti per loro e per loro i gruppi politici (…) nonché la costituzione di 15 circoli Ncd nei diversi comuni del Calatino in cambio del compimento di atti contrari ai doveri del loro ufficio e, segnatamente, per il turbamento» della gara d’appalto. Per i pm c’è un continuum fra Politiche e Amministrative 2013 ed Europee 2014: Castiglione alla Camera col Pdl, Aloisi candidata sindaco e Giovanni La Via (non coinvolto nell’indagine) supportato per la sua corsa a Bruxelles.
Centinaia di voti. In cambio di posti di lavoro al Cara e negli Sprar. E chi «si occupava della raccolta dei voti in favore degli indagati anche attraverso il mercimonio delle assunzioni» è Ragusa, accusato in prima persona (in concorso con alcuni assunti), per almeno sei episodi; in un altro è con Ferraro della coop San Francesco.
Un’ultima accusa – falso ideologico – riguarda l’ex direttore Ferrera e Odevaine per l’assunzione di quest’ultimo al Cara di Mineo come esperto di fondi Ue. La commissione esaminatrice verbalizza di aver svolto il colloquio nella sede della Provincia di Catania, in via Prefettura. Tutto impeccabile. Se non fosse che nel pomeriggio del 20 giugno 2014, il candidato Odevaine non fece mai quel colloquio. I pm hanno dimostrato che si trovava a casa di Ferrera. Anche i brillanti esami “in contumacia”, nel Cara più pazzo del mondo.