Catania
Aggressione a Catania, Luigi Licari: «Mi sto riprendendo, ma nulla sarà come prima»
Catania – Il passo è lento e incerto, specialmente quando c’è da affrontare una piccola rampa di scale; inoltre la posizione delle braccia è lievemente innaturale. Sulla testa, parzialmente pelata per questioni anagrafiche, sono poi ben presenti i “segni” di quella sera maledetta: lo accompagneranno per tutta la vita, ma in fondo rappresentano ben poca cosa se si pensa all’esito tragico che avrebbe potuto avere l’aggressione di cui l’ispettore dei vigili urbani Luigi Licari è rimasto vittima in via del Rotolo il 2 settembre di un anno fa.
«E’ vero – ammette, dopo avere cercato una sedia su cui riposare, sotto l’occhio vigile del fratello Matteo, avvocato, da allora divenuto quasi il suo nume tutelare – io mi sento fortunato. Forse la mia tempra di ex atleta mi ha un po’ aiutato, ma sono certo che è stato il Signore a darmi la grazia di aprire gli occhi nell’ospedale di Cefalù».
«Il Signore – ci pensa un attimo su – e la Madonna di Ognina, che si festeggia in questo periodo. Io ero lì, in via del Rotolo, proprio per garantire il servizio d’ordine durante i festeggiamenti. Non ho mai abusato del fatto di indossare una divisa, forse al contrario di qualche altro collega un po’ più spavaldo: sono stato “premiato” per questo. Il Signore, la Madonna e pure la nostra Sant’Agata sanno che non ho fatto niente, che non ho mai provocato nessuno, che non ho mai cercato la lite. Per questo hanno posato i loro occhi sul sottoscritto».
Intanto c’è stato un processo e il giovane che si è costituito a seguito della sua aggressione è stato condannato. Le ha mai chiesto scusa?
«Mai. E questa è una cosa che dispiace. Diciamo che gli atteggiamenti avuti nei confronti miei e della mia famiglia da questa persona e da quelle a lui vicine sono stati puntualmente sgradevoli. Mi è stato detto pure di un post su Facebook in cui mi veniva augurata la morte. Hanno perso un’occasione per dimostrare altro, ma ormai poco importa. Non c’è spirito di rivalsa né altro. Io, una volta che la Legge è stata applicata, spero soltanto di mettermi alle spalle questa vicenda».
Ma lei cosa ricorda di quella sera?
«Ben poco. C’erano delle persone che, in sella a un motorino, volevano superare le transenne che delimitavano l’isola pedonale. Ho detto loro che non si poteva, che ne andava della sicurezza dei pedoni e anche della loro stessa incolumità. Non ho messo le mani addosso a nessuno, non ho minacciato di “fare il verbale” a nessuno. Diciamo che la vicenda si poteva chiudere lì».
Invece?
«Invece è accaduto che qualcuno ha pensato di farmi pagare questo “affronto”. Si sono organizzati – perché questa è gente che “ci studia la notte” su come agire in queste circostanze – qualcuno mi ha distratto e qualcun altro alle spalle mi ha colpito con violenza, a sangue freddo, lasciandomi tramortito a terra. Di altro non ho ricordo».
Né dei soccorsi, né del trasporto all’ospedale Cannizzaro, né di tutto il resto?
«Assolutamente no. Il mio primo ricordo è legato al giorno in cui ho aperto gli occhi nel letto dell’ospedale di Cefalù. Un’infermiera mi ha detto “Auguri” e io le ho risposto: “Ma che ho vinto al Superenalotto?”…».
E’ come se fosse….
«E’ vero. Mia moglie mi disse che ero rimasto vittima di un incidente e io continuavo a dirle “ma che state dicendo?”. Poi a poco a poco alcune cose sono venute a galla e ho cominciato a prendere coscienza. Oggi sono qui, in attesa di sapere se potrò tornare al lavoro o se mi toccherà la pensione, alla quale, a 58 anni e con 37 anni e mezzo di marche, sono comunque prossimo».
Neanche tanto prossimo, in effetti. E poi lei si rivede al lavoro in queste condizioni?
«Sono sincero, il lavoro mi manca. Però è anche vero che in strada così non potrei mai tornare. Ci sono tante, troppe cose che non posso più fare: pochi minuti di chitarra e mi vengono i crampi alle mani, lo stesso con la pianola, le difficoltà di equilibrio le avete notate anche voi. Io a casa devo fare il bagno assistito da mia moglie e al mare devo avere qualcuno accanto, perché c’è il rischio di cadere anche là dove l’acqua è bassa e non riuscire più a venire su. Non posso più andare in macchina né in motorino. Diciamo che un ufficio potrebbe essere la soluzione ideale, anche se è vero che qualche difficoltà a mantenere la concentrazione si è spesso palesata in questi mesi».
Eppure lei è tornato in palestra, là dove coltiva la sua grande passione del sollevamento pesi. Si dice che non poté andare alle olimpiadi di Mosca perché militare.
«Lo confermo. Ero reduce da un titolo italiano nella categoria dei 67 chilogrammi e da un argento nella categoria dei 75 chilogrammi. Andai ai mondiali in Canada e poi mi fu riconosciuto il cavalierato al merito dello sport, con medaglia di bronzo del Coni per meriti sportivi».
«Sì – prosegue – la palestra è la mia grande passione e io prima con 100 chili di bilanciere ci giocavo. Adesso ho difficoltà nell’impugnarlo, il bilanciere, e più di 50 chili non posso caricare. Non stupitevi, però. Il tipo di lesione che mi è stata provocata non mi impedisce questo genere di attività. In compenso non riesco ad aprire una lattina di Coca cola e soltanto di recente ho preso a tagliare la carne, che fino a poco tempo fa, così come il pane, mi veniva tagliata dai miei familiari».
Insomma, la situazione è tutt’altro che semplice. E immaginiamo che anche dal punto di vista economico le cose non vadano tanto meglio.
«Purtroppo è così. Il mio stipendio, spogliato da ogni indennità, è sceso da 1.600 a 1.150 euro al mese. E, ovviamente, quest’anno non ci sarà traccia dello straordinario che a noi vigili urbani viene pagato annualmente, in un’unica soluzione. A casa mia – moglie e tre figli, due disoccupati e una studentessa – sono l’unico ad avere un reddito. Immaginate un po’ come ci troviamo, atteso che prima che accadesse quel che sapete, un anno fa, avevo assunto degli impegni che sto cercando in tutti i modi di onorare».
Nei suoi panni proviamo a metterci e pensiamo anche al costo delle medicine e delle cure riabilitative.
«Arriviamo a 800 euro al mese. In qualche maniera abbiamo fronteggiato con la provvisionale da ottomila euro che mi è stata garantita dal Tribunale dopo la condanna del mio aggressore e con i 7.500 euro provenienti dal fondo speciale che il Comune di Catania gestisce per aiutare i vigili urbani che si sono ritrovati in situazioni simili alla mia. Ringraziamo, a tal proposito, la precedente amministrazione per avere sollecitato il Comitato di gestione della legge 208 a venirci incontro, ma forse piuttosto che fare i conti sulla percentuale derivante da quanto confluito in quelle casse nell’ultimo anno, circa duecentomila euro (a me è spettato il 3%), sarebbe stato più giusto considerare l’intero fondo, pari a circa un milione di euro. Ringraziamo comunque, lo ripeto, e lo dico con sincerità».
Abboccamenti con la nuova amministrazione?
«Diciamo – a intervenire è Matteo Licari – che ci aspetteremmo una “rivisitazione” di questa cifra e che, magari attraverso un intervento dei Servizi sociali, si possa provvedere a una integrazione delle indennità».
C’è qualcosa che l’ispettore Licari chiede al futuro?
«La salute – risponde senza perdere un secondo Luigi – da un anno ho compreso quanto possa essere importante».
«Mio fratello non vuol dirlo per pudore – si inserisce Matteo – ma il suo sogno, adesso, sarebbe quello di una stabilizzazione dei due figlioli disoccupati, di 30 e di 25 anni, che sbarcano il lunario come possono».
Esiste una strada?
«Che a Luigi venga riconosciuto lo status di vittima del dovere. In questo caso lui e i suoi parenti di primo grado – ovvero moglie e figli, non io – potrebbero godere di una serie di agevolazioni, come di pure una possibile chiamata diretta dalle amministrazioni dello Stato. Era stato aperto un discorso con l’allora ministro Marco Minniti, siamo pronti a presentare un dossier anche al ministro Salvini, nella speranza – me lo auguro fortemente – che qualcosa si possa fare. Credo sia giusto. Credo che questa famiglia abbia un credito aperto con lo Stato…».COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA