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Aeroporto, «Come, quando, a chi» Soci convinti da piano “top secret”

Di Mario Barresi |

Catania – Si fa presto a dire: aeroporto vendesi. Ma quali sono le strategie del Cda di Sac, al di la dello stop&go di ieri pomeriggio? Il percorso è sintetizzato in un “memorandum” (presentato ieri dal cda all’assemblea dei soci), che La Sicilia ha avuto modo di consultare. Nel documento si descrive in modo neutro la privatizzazione che rappresenta «un’opportunità per i soci pubblici di valorizzare e monetizzare (in tutto o in parte) l’investimento di Sac, per far fronte a eventuali fabbisogni finanziari», ma anche «un’opportunità per la Società di raccogliere risorse (in aumento di capitale) per coprire il proprio piano di investimenti, cogliere nuove opportunità di sviluppo e ottimizzare la capacità di distribuire dividendi agli azionisti». Il tutto considerando che «il momento di mercato è particolarmente positivo, come dimostra l’interesse di investitori nazionali e internazionali» all’acquisto di società aeroportuali «e in particolare di Catania». In ogni caso, l’«attenzione» a una priorità: la «previsione di sviluppo dell’aeroporto di Comiso».

Come può avvenire la privatizzazione? Nel documento si prospettano tutti gli scenari possibili, descrivendone punti di forza e criticità. A partire dalla «quotazione in Borsa di almeno il 30% del capitale», soglia minima per «rendere l’operazione appetibile sul segmento “Star” delle “Mid Cap”». Ma nel cosiddetto «collocamento al pubblico indistinto», secondo il dossier del cda di Sac, oltre al «maggior rischio di oscillazioni congiunturali dei mercati e quindi di variazione del prezzo di Ipo (Initial public offering, ndr)», ha un’altra controindicazione: la «concentrazione del collocamento su pochi investitori di natura speculativa che mirano a rivendere nel breve periodo» senza che gli azionisti pubblici (che avrebbero il vantaggio di «mantenere, almeno a breve, il controllo della società») tocchino palla. E qui si cita l’esempio, non proprio positivo, del blitz di “Amber” sullo scalo di Bologna. E lo scenario è di «perdere comunque il controllo della società, a medio termine, senza né monetizzare il pieno valore né efficacemente selezionare in via diretta il partner privato finale».

Allora la strada è il “trade sale”: la cessione a un partner privato selezionato con procedura a evidenza pubblica. E anche qui c’è un bivio cruciale: cedere una quota di minoranza qualificata (almeno il 30%) o il pacchetto di maggioranza. Sull’opzione di vendita-mignon si cita come pregio il «parziale “sconto di minoranza”» che potrebbe però «essere ridotto o annullato in funzione della quota percentuale messa in vendita e soprattutto del ruolo di socio industriale con adeguati diritti di governance e di ulteriori opzioni di vendita/acquisto». Insomma, si teme un effetto-trascinamento per cui il privato potrebbe impadronirsi di Sac dopo essere entrato in punta di piedi. I casi negativi citati: le privatizzazioni di Sagat (Torino) e dell’aeroporto di Tolosa.

Dunque si arriva a quella che il cda guidato da Nico Torrisi definisce la «soluzione auspicata»: la vendita del pacchetto di maggioranza. È «sicuramente l’ipotesi di maggior interesse per gli investitori» e «consentirebbe sia di ampliare il contesto competitivo, sia di massimizzare il prezzo di vendita». Esempi virtuosi? Le privatizzazioni di Nizza, Lione e Lubiana. Il punto di debolezza (scontato) è che «gli azionisti perderebbero il controllo di Sac», ma il cda sottolinea gli «specifici diritti» del socio pubblico di minoranza: i «meccanismi di verifica/coordinamento» rispetto al piano industriale (garantiti dal contratto di vendita) e l’individuazione di «soggetti maggiormente idonei a proseguire la creazione di valore del gruppo Sac», con positivi impatti anche per il territorio».

Vendere la maggioranza, ma a chi? Due i profili possibili. A un Fondo infrastrutturale, che ha i vantaggi di «alta capacità finanziaria» e di «rapidità di esecuzione» e i limiti di «limitata possibilità di creare nuove sinergie» (soprattutto se «non presenti già nel settore aeroportuale»), ma anche la «necessità di una chiara strategia di sviluppo futuro». La scelta di Sac è orientata invece sul secondo identikit: i partner strategici. Che, pur avendo alcuni limiti («processi decisionali più lenti rispetto ai Fondi»; «minor peso decisionale dei vecchi azionisti»; «ridotto supporto finanziario») hanno almeno tre marce in più: «massimizzazione del valore di Sac», «possibili sinergie» e «rafforzamento del management».

Ed ecco la strada maestra, dunque. Con un “assaggio”, «a titolo meramente indicativo ed esemplificativo» di alcuni criteri che potrebbero essere inseriti nella procedura di gara e nel bando pubblico. Fra i requisiti di partecipazione alla gara: essere «investitore con sede nell’Ue», «gestore aeroportuale o azionista di maggioranza (o di minoranza qualificata) di altri gestori aeroportuali Ue», oltre che possedere ovviamente «parametri di solidità patrimoniale-finanziaria». Uno dei criteri-chiave per la selezione delle offerte sarebbe «non soltanto sulla base del prezzo, ma anche sulla base della qualità del piano industriale»: sviluppo del traffico, piano investimenti, sviluppo di attività commerciali “non aviation”, efficienza operativa. Un altro aspetto decisivo riguarda le «regole di circolazione delle azioni post operazione». Con alcuni paletti specifici: divieto per il socio privato di vendere le azioni per almeno 5 anni (peraltro già previsto dallo statuto Sac); diritto di prelazione per i soci pubblici in caso di successiva cessione della maggioranza da parte dei privati; «opzione di vendita», per la minoranza pubblica, di «ulteriori quote» al privato. Tutt’altro che secondari gli «altri accordi di governance»: l’ad sarà nominato dal socio privato, al pubblico la scelta del presidente e di «materie riservate al Cda che non possono essere delegate all’ad».

Infine, i tempi. «Indicativi», si specifica nel memorandum, tenendo conto che «talune attività potrebbero richiedere più tempo» e che il bando sulla privatizzazione va approvato dai ministeri dei Trasporti e dell’Economia. Ma c’è un’agenda di massima. Una «fase preparatoria» di quattro mesi, in cui è compresa la selezione dell’advisor che analizzerà la società. Poi tre mesi di «strategia di marketing»: pubblicazione del bando, manifestazione d’interesse, prima selezione. Poi scattano le «offerte non vincolanti»: 60 giorni per riceverle e selezionarle. Infine, l’ultimo step di altri due mesi: presentazione e scelta delle «offerte vincolanti», con l’aggiudicazione al vincitore, l’autorizzazione del contratto e il “closing” della privatizzazione.

In tutto, in questa ipotesi ottimistica, sarà passato un anno. E Fontanarossa avrà un altro padrone.

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