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Adrano, tra mafia e gelosia: ecco perché Maurizio Maccarrone è stato ucciso

Di Redazione |

Un delitto passionale ma nato nell’ambito dei clan mafiosi della zona. Dalle immagini si vedono i due che arrivano, individuano Maurizio Maccarrone che mentre sta per aprire lo sportello dell’auto viene freddato a colpi di pistola. Poi uno dei killer torna indietro e dà il colpo di grazie. E’ impressionante la sequenza del delitto di Adrano che è stata diffusa dalla Polizia.

La Squadra mobile di Catania ha arrestato, su delega della Dda di Catania e su ordine del gip del Tribunale etneo, i due presunti autori dell’omicidio. In manette sono finiti Antonio Magro di 41 anni, inteso u rannazzisi, pregiudicato e già in carcere per altre vicende e Massimo Merlo, un pregiudicato di 44 anni.

Secondo le indagini della Squadra Mobile di Catania e del Commissariato di Adrano che hanno fatto luce sull’omicidio Maurizio Maccarrone di 45 anni, avvenuto ad Adrano la mattina del 14 novembre 2014, ad uccidere l’uomo sono stati i due pregiudicati.

IL DELITTO RIPRESO IN DIRETTA DALLE TELECAMERE

VIDEO DEGLI ARRESTATI

L’INTERCETTAZIONE CHOC: COSI’ MAGRO PARLAVA DEL DELITTO

LE FOTO DEGLI ARRESTATI

LE INDAGINI. Sul luogo del delitto il personale del Gabinetto Regionale di Polizia Scientifica ha trovato e sequestrato 5 bossoli cal.7,65. Da una prima ricostruzione del fatto, effettuata grazie alle immagini estrapolate da un impianto di video-sorveglianza installato nei presi del luogo teatro del fatto di sangue, si vede Maccarrone che, dopo essere uscito dall’abitazione, si dirigeva verso la propria autovettura, parcheggiata poco distante. A quel punto veniva affiancato da due individui, entrambi travisati da caschi, che viaggiavano a bordo di uno scooter. Con il mezzo in movimento il passeggero esplodeva alcuni colpi all’indirizzo della vittima che si accasciava al suolo, a questo punto il killer, sceso dal mezzo, si avvicinava velocemente alla vittima ed esplodeva, a distanza ravvicinata, ulteriori due colpi alla testa.

Le indagini orientate sin dalle prime battute sulla sfera personale di Maccarrone hanno fatto emergere il movente passionale del delitto anche se le modalità sembravano simili a quelle della criminalità organizzata. A dare impulso all’inchiesta è stato il collaboratore di giustizia Gaetano Di Marco, esponente del gruppo degli Scalisi, che fa parte del cvlan dei Laudani che ha raccontato come il delitto, anche se riconducibile a movente passionale, era maturato nell’ambito dei gruppi mafiosi operanti nell’area di Paternò, Adrano e Biancavilla e su ordine dei Laudani. Di Marco ha indicato quale mandante Magro e come esecutore materiale Massimo Merlo, tutti e due nell’orbita del clan dei Laudani e in particolare nel gruppo dei Morabito per Magro e nel gruppo degli Scalisi per Merlo.

Il movente sarebbe stata la gelosia di Magro nei confronti di Maccarrone, per una presunta relazione con una donna la quale in passato Magro aveva avuto, a sua volta, una relazione, motivo per il quale avrebbe dato l’ordine di uccidere Maccarrone.

Gli investigatori tra intercettazione ed esame dei tabulati telefonici e interrogatori e pure la comparazione antropometrica effettuata nei confronti di Merlo, tra il filmato dell’omicidio ed altro appositamente acquisito, hanno così consentito di acquisire elementi di riscontro alle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia.

In particolare, nel corso di una conversazione ambientale Massimo Merlo, discorrendo con il suo interlocutore in merito all’omicidio in esame, esclamava a voce bassa “…Ci i’ d’arreri …n’aricchi accussì… PUM – imitando un colpo d’arma da fuoco – ….e gridava…gridava … ittava vuci”, confermando ampiamente il suo ruolo di killer.

Lo scorso 26 novembre la Procura di Catania ha disposto il fermo di Massimo Merlo (anche perché Magro è già recluso per altra causa). Il primo dicembre scorso il gip di Catania ha applicato la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di Massimo Merlo e e Antonio Magro.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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