Siccità: il paradosso di Gela, dove sono stati mandati in soffitta uno per uno tutti i moduli del dissalatore

Di Maria Concetta Goldini / 17 Settembre 2024

Paradossi siciliani: Gela si affaccia sul mare ma patisce la sete, vanta ben quattro dighe nel suo comprensorio e le campagne, però, sono a secco. Tutta colpa della siccità? Non solo. La siccità derivata dalle condizioni climatiche è solo la punta dell’iceberg. Alla base dei disagi che oggi patisce Gela e il suo comprensorio ci sono anche scelte politiche e tecniche sbagliate. Come quella di mandare in soffitta ad uno ad uno tutti i moduli del dissalatore e di non considerare prioritari ed urgenti gli investimenti per riparare le dighe che funzionano al 30% della loro capacità di invaso. Quando erano piene grazie alle piogge l’acqua veniva sversata a mare per motivi di sicurezza.

Ma andiamo al dissalatore. O meglio all’ultimo modulo di un maxi-impianto di dissalazione nel sito industriale di Eni che entrò in esercizio negli anni Settanta a servizio della raffineria e della città. È quello che la Regione vorrebbe riattivare.

Prima l’impianto, di proprietà della Regione e gestito da Eni, era più imponente. Si componeva di cinque moduli che risalgono agli anni Settanta. Di loro oggi non c’è più traccia. Furono dismessi nel 2006 perché troppo vecchi dal punto di vista dell’avanzamento tecnologico, malconci ed esageratamente costosi nelle riparazioni. Trovare pezzi di ricambio era diventata un’impresa e i gelesi rimanevano troppo spesso a secco appena andava in tilt l’unica fonte di approvvigionamento idrico. Quando però marciavano bene, quei moduli davano acqua a Gela, a vari Comuni del Nisseno compresa Caltanissetta e, nelle emergenze, anche all’Agrigentino.

Il maxi investimento

Nel 2006 la Regione continua a credere nei dissalatori con un maxi-investimento da 50 milioni di euro voluto dall’allora presidente della Regione Totò Cuffaro (in carica pure come commissario dell’emergenza idrica) fu inaugurato un nuovo modulo. Era il sesto ma fu chiamato quinto modulo bis. Moderno, efficiente ma di vita breve. Fu dismesso sei anni dopo, nel 2012. Era la società di Pietro Di Vincenzo a gestire l’impianto con una trentina di operai che si alternavano su tre turni.

Le vicende giudiziarie dell’impresa dell’ex presidente di Confindustria indigesto a Crocetta, che era diventato nel frattempo presidente della Regione, contribuirono al fermo dell’impianto.

Oggi dopo 14 anni è ridotto ad un ammasso di lamiere. Si tratta solo di demolirlo attuando un accordo che c’è già da decenni.

Anche alla Regione dopo i primi rilievi pare che abbiano abbandonato l’idea di una maxi e costosissima riparazione per lasciare spazio a un impianto nuovo. Che servirà a dare respiro a Gela e al comprensorio. Solo che bisogna fare in fretta. Dismessi i dissalatori, Gela riceve acqua in gran quantità dalla diga Ragoleto gestita da Eni. Ma le previsioni sono nere. Se non pioverà la diga Ragoleto avrà un mese di autonomia e poi saranno guai per le campagne dl Nisseno, del Ragusano, per varie città come Gela ma anche per l’industria di bioraffinazione. Il dissalatore serve e subito.

C’è chi invoca come soluzione migliore quella dei dissalatori mobili. La decisione su cosa fare non c’è ancora. Nel frattempo la Regione con il 2025 avrà finito di pagare l’ultima rata di un debito da oltre 100 milioni (10 milioni l’anno spalmati in 10 anni) che aveva contratto con Eni per la gestione dei dissalatori. I vecchi e il nuovo rimasto come cimelio di archeologia dell’acqua. Fermo da 14 anni. Rispolverato per la recente siccità ma con un foglio di demolizione che stavolta dovrebbe trovare esecuzione.

Aspettando il ritorno al passato dell’acqua dissalata, Gela patisce la sete anche per le condotte idriche che si bucano continuamente e nelle campagne della Piana di Gela la produzione di ortaggi e frumento hanno subito un drastico ridimensionamento. Si lavora a un progetto di riuso delle acque reflue ma i tempi sono lunghi. Ciò che non è stato fatto in tempi di vacche grasse oggi mette in ginocchio le popolazioni e l’economia dei territori.

Pubblicato da:
Alfredo Zermo