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Processo stragi Falcone e Borsellino, “Messina Denaro fu mandante e non esecutore”

 L’ha detto il procuratore generale Antonino Patti che oggi ha iniziato la sua requisitoria nel processo che si celebra in Corte d’assise d’appello, nei confronti del boss latitante trapanese

Di Redazione |

«L'accusa che si muove a Matteo Messina Denaro è di avere deliberato, insieme ad altri mafiosi regionali, che rivestivano uguale carica, le stragi. Quindi ci occupiamo di un mandante, non di un esecutore». L’ha detto il procuratore generale Antonino Patti che oggi ha iniziato la sua requisitoria nel processo che si celebra in Corte d’assise d’appello a Caltanissetta, nei confronti di Matteo Messina Denaro, accusato di essere stato tra i mandanti delle stragi del 1992 a Capaci e in via D’Amelio. 

In primo grado Messina Denaro è stato condannato all’ergastolo. «L'imputato – ha continuato Patti – entrò a far parte di un organismo riservato direttamente alle dipendenze di Totò Riina, il gruppo denominato la 'Super cosà. L’attività deliberativa, organizzativa di Messina Denaro in favore delle stragi ha cominciato a esplicarsi nell’ottobre del 1991, che coincide con le riunioni in provincia di Enna. Chi è Matteo Messina Denaro? E’ certamente un mafioso. Ha quattro condanne per 416bis, riferite a tempi diversi. E’ certamente un assassino perché dal casellario giudiziale mi risulta essere stato condannato per sette stragi e una ventina di omicidi». 

«Giovanni Brusca, interrogato sul potere esercitato nella provincia di Trapani dirà: 'il capo ufficialmente era Francesco Messina Denaro, però già nel momento in cui rivestiva questo ruolo, le cariche formali ed esecutive erano rivestite dal figlio Matteo. Faceva le funzioni di capo provincia perché o ne parlava direttamente col padre o si prendeva le responsabilità di quello che si decidevà», ha aggiunto il procuratore generale Antonino Patti. «C'era un totale e reciproco rapporto di fiducia – ha continuato il procuratore generale – tra Totò Riina e Matteo Messina Denaro. Il rapporto iniziato negli anni Ottanta non ha mai avuto avuto alcun momento di attrito o incrinatura. Anche dopo le stragi Matteo Messina Denaro, dopo che Riina venne arrestato, continuò a esercitare la sua egemonia. Il potere di Riina era talmente forte che non si poneva il problema di mettere a capo della provincia di Trapani Matteo Messina Denaro, nonostante nel '91 aveva appena 29 anni. Era una sua creatura, con tutto il rispetto per Mariano Agate che non poteva rappresentare il futuro. Messina Denaro era incensurato, sconosciuto alle forze dell’ordine – diventerà latitante soltanto il 2 giugno del '93 – e in quel momento libero di muoversi. Matteo era capace a livello criminale e Riina capì che la pasta era quella giusta». 

«La riunione per gli auguri di Natale del 1991 avviene prima del 13 dicembre. I nomi delle persone da eliminare, ha riferito Antonino Giuffrè, si sapevano: Falcone, Borsellino, Salvo Lima, Martelli e Mannino. Giuffrè rimase impressionato da quella riunione perché era finito il tempo delle chiacchiere e bisognava agire. Venne etichettata come la riunione della resa dei conti. Dopo le parole di Riina scese un silenzio assoluto», ha ancora detto il procuratore generale Patti. Il Pg si è anche soffermato sulla missione romana, quando un commando partì dalla Sicilia per eliminare Giovanni Falcone e Maurizio Costanzo. Riina da tempo aveva in cantiere di assassinare Falcone. La requisitoria proseguirà il 27 ottobre nell’aula bunker del carcere Malaspina di Caltanissetta. COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA