Processo Saguto, ex amministratore giudiziario: «Mai subito pressioni»

Di Redazione / 10 Ottobre 2018

Palermo -“Non ho mai ricevuto pressioni dal giudice Saguto per anticipare al marito le somme dovutegli per il suo lavoro. Fu una mia scelta viste le spese che l’ingegnere stava sostenendo. Non nego che il fatto che fosse la moglie del magistrato mi abbia influenzato, ma è stata una mia decisione su cui nessuno ha influito «. Parla Antonino Galatolo, avvocato ed ex amministratore giudiziario nell’ambito del processo per concussione all’ex presidente della sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo Silvana Saguto. Galatolo è stato sentito come testimone dal tribunale di Caltanissetta.


L’ex presidente, difesa dall’avvocato Ninni Reina, dopo l’avviso di garanzia è stata sospesa dalle funzioni e dallo stipendio. Al processo risponde tra l’altro di corruzione e abuso d’ufficio. Per i pm, in cambio di favori e regali, avrebbe per anni gestito come «cosa sua» l’assegnazione delle amministrazioni giudiziarie di patrimoni confiscati alla mafia. In particolare Galatolo doveva rispondere dei 12mila anticipati a Lorenzo Carata, marito della Saguto, anche lui imputato, per l’incarico ricoperto in una procedimento di prevenzione instauratosi a Trapani. «I compensi – ha detto – venivano erogati con grande ritardo. Lui mi chiese un anticipo per le spese che aveva affrontato anche vista la distanza del luogo in cui svolgeva l’incarico, e io acconsentii».


Galatolo ha poi spiegato la vicenda dell’ammanco di 26mila euro rilevato nella gestione di una tabaccheria sequestrata a prestanome dei boss Lo Piccolo. A Saguto si contesta il non aver dato seguito alla segnalazione dell’amministratore giudiziario sui soldi spariti. Dopo l’esame dell’imputato l’ex presidente ha fatto dichiarazioni spontanee dando la sua versione dei fatti. “Chiesi a Galatolo di indicarmi in una relazione chi avesse secondo lui incassato indebitamente il denaro della tabaccheria e gli dissi che se aveva indizi gravi sui suoi coadiutori giudiziari avrebbe dovuto dirmelo e sarebbero stati licenziati. Nella relazione, però lui scrisse che non era in grado di indicare con certezza i responsabili dell’ammanco e neppure se questo fosse invece dovuto solo a una cattiva gestione». I coadiutori, comunque, si dimisero spontaneamente. Il caso, dopo l’inchiesta Saguto, finì in procura che archiviò l’indagine.

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