Caltanissetta – Dice di essere stato “mascariato” e “tradito” da “calunniatori” e di avere “rischiato la vita per le istituzioni”, ribadisce di “non avere mai fatto dossieraggio” né ha “mai distrutto le pen drive” in suo possesso. Anzi, sostiene di avere combattuto “sempre la mafia”. Antonello Montante, l’ex icona dell’antimafia, appare per la prima volta in aula, dal giorno del suo arresto, avvenuto tre anni fa. Poco dopo le nove del mattino si presenta, in giacca e cravatta, con il gel sui capelli e una cartellina gialla tra le mani per essere interrogato nel processo d’appello che lo vede imputato per associazione per delinquere finalizzata alla corruzione. In primo grado è stato condannato a 14 anni di carcere. Oggi vive ad Asti dove ha l’obbligo di soggiorno. Sorride, Montante. Si ferma a parlare brevemente con i giornalisti che lo aspettano all’ingresso dell’aula bunker.
Ma dopo le prime domande, dai dossieraggi alle chiavette usb distrutte e gettate dalla finestra subito dopo il suo arresto, cambia atteggiamento. Diventa oscuro in volto. E attacca i magistrati. “Io sono stato strumento delle istituzioni, in particolare dei magistrati”, dice. Ma senza fare nomi. Ribadisce più volte di essere stato e di sentirsi ancora “uomo delle istituzioni”. “Ho sempre combattuto contro la mafia”, ha ribadito parlando in particolare della sua “battaglia” contro Cosa nostra “a Serradifalco”, suo paese natale, “e contro Vincenzo Arnone”, suo testimone di nozze e ritenuto boss di Serradifalco.
«Vincenzo Arnone lo conoscevo da quando eravamo bambini perché abbiamo fatto la scuola insieme ma in un primo tempo non ricordavo se il certificato del mio matrimonio fosse stato firmato come testimone da lui o da suo padre, Paolino. Al mio matrimonio hanno partecipato solo i compagni di scuola essendo un matrimonio riparatore e c’era anche lui. Mi sono sposato in fretta e furia a 17 anni e nel trambusto di quel giorno non ricordavo chi, tra padre e figlio, avesse firmato. Queste circostanze le ho già riferite in un interrogatorio nel 2011 alla procura di Caltanissetta».
«La mia prima elezione a Confindustria fu in qualche modo voluta dal procuratore di Palermo Messineo perché dopo che si seppe che stavo per diventare presidente trovai dei proiettili all’ingresso di casa e lui mi disse che, a fronte di quel fatto, non avrei dovuto cedere al ricatto e a questo genere di intimidazioni», ha quindi raccontato l’imputato. “La mia azione di legalità fu poi sempre supportata dalla magistratura», ha continuato l’ex leader di Confindustria che ha citato tra i magistrati che lo sostennero l’ex procuratore di Caltanissetta Sergio Lari e l’ex pg nisseno Roberto Scarpinato. “Non c’è stata iniziativa – ha continuato – che non sia stata concordata e supportata dalla magistratura. Io mi sono integrato perfettamente con le forze dell’ordine, prefetture, questure, ma soprattutto con l’autorità giudiziaria». E poi ancora accenna al suo rapporto con l’attuale presidente della Regione Siciliana Nello Musumeci: «Musumeci e l’assessore Gaetano Armao fino al 2018 venivano da me per chiedere indicazioni su come muoversi e su cosa portare avanti nella loro azione politica. Mi sono dunque interrogato sulla ragione della costituzione di parte civile di tante persone che mi sono state vicino a cominciare dalla Regione per finire a Cicero (ex presidente dell’Irap ndr)». «Per Cicero mi sono stracciato le vesti e non capisco questo suo accanimento contro di me. Tutti i lunedì pomeriggio era a casa mia, lo osteggiavano tutti e io lo difendevo sempre, gli ho anche fatto avere la scorta. – ha spiegato – Mi sono speso per tutte le cariche che ha rivestito nel tempo anche contro la volontà dei vertici della Regione che non volevano saperne di lui. Ma siccome sono stato sempre convinto che era una persona degna di fiducia e utile alla causa comune non ho avuto remore a sostenerlo e a portarlo avanti anche nella nomina all’Irsap».
L’ex numero 1 di Confidustria Sicilia ha poi parlato anche di Marco Venturi. “Fu indicato da me per la nomina di assessore di Lombardo”. Marco Venturi è l’imprenditore che si era dimesso da assessore tecnico alle Attività Produttive nel governo Lombardo mandando tutte le carte in Procura. Venturi e Alfonso Cicero, che oggi è stato sentito prima di Montante, sono gli uomini chiave dell’inchiesta della Dda di Caltanissetta che ha portato all’arresto dello stesso Antonello Montante. Davanti alla Commissione antimafia, nel 2016, Venturi dichiarò che l’ex presidente di Confindustria Sicilia era “pericoloso” invitando “la politica ad allontanarlo”. E rivelò che l’elezione di Crocetta era “frutto di un accordo con Raffaele Lombardo”. “La politica nazionale deve intervenire al più presto per allontanare Montante dalla presidenza della camera di commercio, da Unioncamere e da tutti i ruoli istituzionali che lui ricopre, perché costituisce un allarmante rischio di condizionamento per le istituzioni”, aveva detto Venturi alla Commissione parlamentare Antimafia presieduta da Rosy Bindi. L’audizione, al tempo era stata secretata ma poi fu declassificata da segreta a “libera”.
L’interrogatorio di Montante si è concluso poco prima delle 20. Proseguirà domani mattina davanti alla Corte d’appello di Caltanissetta.