Sono contenute in 62 pagine le motivazioni del perché, per l’imprenditore Antonello Montante, il processo a suo carico, con rito abbreviato, in corso davanti al giudice monocratico di Caltanissetta, deve essere trasferito al Tribunale di Catania «per il combinato disposto degli articoli 11 e 45 del codice di procedura penale». Una richiesta avanzata alla Corte di Cassazione dai legali di Montante, gli avvocati Carlo Taormina e Giuseppe Panepinto, nel quale l’ex presidente degli industriali siciliani ripercorre gli anni che lo hanno portato alla ribalta nazionale.
Montante, nella richiesta di remissione del processo, ha fatto anche i nomi dei magistrati di numerosi uffici giudiziari, non solo di Caltanissetta, con i quali, sostiene, negli anni ha avuto rapporti ed è stato impegnato nella lotta alla mafia e alla criminalità organizzata.
Durissime le conclusioni di Montante nell’atto a sua firma inviato alla Corte di Cassazione quando parla della sua vicenda giudiziaria che, per l’ex vicepresidente nazionale di Confindustria con delega alla legalità, «ha assunto proporzioni sicuramente eccentriche rispetto alla realtà dei fatti contestati, di cui peraltro è stata messa in luce una inconsistenza talmente rilevante da rivelarsi un autentico teorema».
«Queste proporzioni, segnalate da un martellamento mediatico incredibile e non giustificato – scrive Montante – è figlia di una operazione politica molto probabilmente di matrice mafiosa, voluta da Cosa Nostra per la straordinaria efficienza che il contrasto alle infiltrazioni ed al ricatto mafiosa aveva assunto attraverso l’opera dello scrivente confortato e sostenuto dalla magistratura ed in particolare da quella nissena perché da lì tutto è cominciato nel 2005».
Per Montante «dal Nisseno sono partite le operazioni di attacco contro lo scrivente che si sono tradotte in input sistematici e destabilizzanti dell’autorità giudiziaria di Caltanissetta».
Accuse pesantissime, quelle di Montante, alle quali ha già risposto nei giorni scorsi il procuratore capo Amedeo Bertone: «Noi siamo sereni e tranquilli, come sempre – ha detto Bertone – Anche rispetto a questa richiesta della difesa. Non abbiamo scheletri negli armadi: gli atti su alcuni magistrati sono stati da noi inviati alla Procura di Catania per la valutazione di competenza».