Il “cold case” dell’omicidio di Gaetano Falcone

Di Redazione / 31 Gennaio 2019

MUSSOMELI (CALTANISSETTA) – Per ricostruire l’omicidio di Gaetano Falcone, ucciso a Montedoro (Cl) il 13 giugno del 1998, ci sono voluti vent’anni e le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Maurizio Carrubba, 46 anni di Campofranco, che nel 2011 ha iniziato a raccontare la sua verità sulla famiglia di Campofranco. Lui, fedelissimo di Binnu Provenzano, aveva collegamenti con le “famiglie” di Cosa nostra di Caltanissetta e Agrigento.

L’omicidio. Secondo la ricostruzione degli inquirenti mandante dell’azione di fuoco è stato il boss Domenico “Mimmi” Vaccaro, 60 anni, che con l’eliminazione di Gaetano Falcone avrebbe vendicato la morte del fratello Lorenzo e di Calogero Francesco Carrubba, fratello del collaboratore Maurizio, avvenuto nel 1998 a Catania. Facendo fuori Falcone, il boss Vaccaro avrebbe voluto prevenire il suo omicidio progettato da una frangia di Cosa Nostra contrapposta alla sua.

Il commando di fuoco. Ad uccidere Gaetano Falcone sarebbero stati Angelo Schillaci (56 anni di Campofranco) ed il pentito Maurizio Carrubba. A dare l’ok all’azione di fuoco anche Nicolò Falcone (che nel ’98 rappresentava la famiglia di Montedoro), Antonio Tusa (catanese, nipote del boss Giuseppe “Piddu” Madonia) e Giuseppe Modica.

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