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Cariche personali e fedelissimi, così il “sistema Montante resiste

Di Mario Barresi |

CATANIA – «Con le attività produttive si può fare la terza guerra mondiale», era l’haka di Antonello Montante. Che si affrettava a precisare: «Possiamo fare». Era il 25 ottobre del 2015. L’ex leader di Confindustria Sicilia, intercettato nell’auto della sua segretaria assieme all’ex assessora regionale, Mariella Lo Bello, e all’ex commissario Irsap, Maria Grazia Brandara, dettava la linea alle sue fedelissime. Sembra passato un secolo. Eppure, a due settimane dall’operazione “Double Face”, sul tavolo restano molti interrogativi. Mettendo da parte quelli giudiziari, uno ci interessa in particolare: quanto del cosiddetto “sistema Montante” rimane in piedi in Sicilia?

Le cariche ancora ricoperte. Il primo elemento di continuità riguarda proprio se stesso. Nonostante l’arresto, Montante mantiene quasi tutte le sue cariche. L’imprenditore nisseno, fra i grandi elettori del presidente Francesco Boccia, in Confindustria era nel board nazionale con la delega alle reti d’impresa. «La regola – scandisce Boccia – è valutare i fatti una volta che le indagini si siano concluse e l’auspicio è che ciò avvenga quanto prima». Montante è stato «temporaneamente sospeso» dal ruolo nazionale. Ragioni di opportunità, è chiaro., Ma c’è uno strumento per farlo. Il 28 gennaio 2010, infatti, la giunta nazionale di Confindustria emanò le cosiddette «direttive applicative» del “Codice etico per la tutela della Trasparenza nelle Associazioni territoriali del Mezzogiorno”. La delibera dispone la «sospensione dell’impresa e dei suoi legali rappresentanti in presenza di misure di prevenzione e sicurezza». Quindi Montante dovrebbe essere sospeso addirittura da semplice associato, oltre che da dirigente nazionale di Confindustria. La stessa delibera nazionale prevede un’altra fattispecie, ovvero l’«avvio di procedimenti penali a carico di rappresentanti di impresa». E dunque anche l’avviso di garanzia. Lo stesso ricevuto – per corruzione e finanziamento illecito ai partiti – fra gli altri da tre fedelissimi di Montante: Giuseppe Catanzaro, Rosario Amarù e Carmelo Turco. Tutti con ruoli in Sicindustria, dai quali si sono autosospesi. Ma, seguendo alla lettera il Codice etico, anche loro tre dovrebbero essere già sospesi da Confindustria.

Ma Montante resta soprattutto presidente della Camera di Commercio di Caltanissetta (mandato scaduto nell’ottobre 2017, ma mantenuto in regime di prorogatio) e, in virtù di ciò, anche a capo di Unioncamere Sicilia. Sia nella giunta di Caltanissetta sia nel consiglio regionale siedono Beniamino Sberna e Giuseppe Valenza (vice e ora “reggente” alla CamCom nissena), non indagati eppure citati decine di volte nelle carte e definiti «entrambi molto legati al Montante» nell’informativa della Squadra mobile.

Il presidente dell’Antimafia dell’Ars, Claudio Fava, dopo l’arresto, ha chiesto al governo regionale di «revocare al presidente della Camera di commercio di Caltanissetta ogni incarico». Ma il portavoce di Nello Musumeci ha replicato che è impossibile, per legge, farlo. Per il commissariamento, dunque, Palazzo d’Orléans, aspetta «le dimissioni di almeno un terzo del Consiglio camerale per emanare il decreto di scioglimento dell’intero Consiglio». La legge regionale 4/2010, all’articolo 4, disciplina i casi di scioglimento del Consiglio camerale. Fra i quali c’è anche quello in cui «non ne possa essere assicurato il normale funzionamento». L’arresto del presidente può ricadere in questo requisito? Nel dubbio, il governo ha chiesto un parere all’Ufficio legislativo e legale della Regione. Così come, nel caos nisseno, ha già fatto il prefetto Maria Teresa Cucinotta, rivolgendosi all’Avvocatura dello Stato sull’ipotesi di rimozione di Montante dal vertice della CamCom. Il parere è atteso a breve.

La “restaurazione” nelle Asi. «Il cuore del problema in Sicilia sono le aree industriali, che rappresentano il cuore della mafia». Così parlava, nel 2016, Marco Venturi alla commissione parlamentare Antimafia. L’ex assessore regionale alle Attività produttive, ex dirigente confidustriale ed ex amico di Montante, denunciava fra l’altro le pressioni subite da lui e da Alfonso Cicero, ex presidente dell’Irsap, l’ente regionale che gestisce le ex Asi, vittima di «un doppio gioco» dei protagonisti di «quel sistema», che volevano «allontanarlo completamente dagli incarichi regionali, perché era uno che dava fastidio». Ed è una suggestiva coincidenza che il 18 maggio, quattro giorni dopo il primo arresto di Montante, l’assessorato regionale alle Attività produttive abbia nominato i commissari liquidatori degli ex Consorzi Asi. E nell’elenco risultano molti acerrimi nemici dello stesso Cicero che li ha denunciati (il che non significa automaticamente che siano “amici” di Montante), oltre che funzionari con più di un guaio con la giustizia.

Il sito Tp24.it ha aperto il fronte, denunciando le «anomalie» dell’Asi di Trapani (nel quale è stato nominato Piero Re) ed evocando anche collegamenti con l’inchiesta Morace e interessi della mafia. L’assessore regionale alle Attività produttive, Mimmo Turano, ha annunciato l’avvio di un’attività ispettiva. Ma i nomi passati ai raggi x dal sito web sono anche altri. A Catania è stato nominato commissario liquidatore Salvatore Valenti: nel 2013, con Cicero presidente, era stato sospeso dal servizio a seguito di una condanna in primo grado dal Tribunale di Catania per abuso d’ufficio. Dopo le dimissioni di Cicero, Valenti, in assenza di nuovi fatti, veniva reintegrato in servizio all’Irsap. Valenti è stato condannato in appello a un anno. Ed è ora imputato, sempre a Catania, per abuso d’ufficio aggravato dall’ingiusto vantaggio patrimoniale. Il processo è in corso e l’Irsap di Cicero si era già costituito parte civile. Valenti, ex consigliere provinciale, fu anche condannato dalla Corte dei conti per un (irrisorio) rimborso illecito di 1.273 euro.

A Gela, invece, l’assessore Turano ha nominato Franco Gallo. Al quale, alcuni anni fa, venne revocato per «incompatibilità ambientale» l’incarico di dirigente generale del Consorzio Asi di Gela. L’ente, nel 2011, aveva attivato a carico di Gallo un procedimento disciplinare con misura cautelare di sospensione da incarichi dirigenziali per un periodo di tre anni.Per liquidare l’Asi di Enna è stato chiamato Carmelo Viavattene, oggetto di pesanti contestazioni (nel 2016 da parte dell’organo di vigilanza del dipartimento e nel 2017 dall’Irsap) per la sua gestione da vicedirettore generale dell’Irsap, ruolo rivestito da ottobre 2015 a giugno 2017.

Poi c’è Salvatore Callari, neo-commissario liquidatore dell’Asi di Agrigento. La Procura della città dei templi, nel 2017 ha fatto ricorso avverso la sentenza del 2016 di assoluzione nei confronti di ex amministratori e dirigenti del del Consorzio Asi di Agrigento, tra cui Callari, per il quale il pm aveva chiesto la condanna a un anno per abuso d’ufficio continuato commesso nelle procedure dei bandi di gara del Consorzio su finanziamenti Ue. Callari è sotto processo alla Corte d’Appello di Palermo in attesa di sentenza.

Infine, Leonardo Migliore, nominato all’Asi di Ragusa. Nel 2013, era stato sospeso per dieci giorni dal servizio con privazione della retribuzione per «gravi violazioni» nelle procedure antimafia nei confronti di un’impresa edile che realizzò importanti opere pubbliche nell’area industriale iblea.

Nella stanza dei bottoni dell’Irsap resta Antonino Casesa, dirigente delle Risorse umane. Casesa, già commissario straordinario del Consorzio Asi di Agrigento, ha ricevuto due condanne definitive (a febbraio e settembre del 2016) dalla Corte dei conti per danni erariali per avere determinato illecitamente – da direttore generale – maggiori compensi a favore dell’ex presidente Stefano Catuara e per avere acconsentito allo stesso l’uso dell’auto di servizio per gli spostamenti dalla propria abitazione alla sede del Consorzio agrigentino. Inoltre, Casesa è destinatario di richiesta di rinvio a giudizio disposta dalla Procura di Agrigento nel 2014 (sulla quale il gup ha rilevato il difetto di notifica) per i reati di peculato e concorso in abuso d’ufficio, presunti illeciti commessi nell’esercizio delle sue funzioni.

Tutte le mollichine di pane portano fin dentro il dipartimento Attività produttive. L’ex dirigente generale Alessandro Ferrara, fra i 23 indagati del filone principale di Caltanissetta, era stato già spostato, in tempi non sospetti, nel turn over del governo Musumeci. Ma dentro gli uffici ci sono ancora tracce dei fedeli “soldati” con i quali Montante, deus ex machina di ben tre assessori regionali, voleva fare la sua «terza guerra mondiale»?COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA


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