Blitz a Gela, parla il procuratore: «I Luca contigui anche ai catanesi e il poliziotto indagato forniva notizie»

Di Giuseppe Anastasio / 01 Luglio 2019

GELA – «L’operazione di oggi offre una visione abbastanza grave della crescita di questo gruppo imprenditoriale che per oltre 20 anni ha usufruito del contributo e del finanziamento del clan Rinzivillo che gli ha consentito di conquistare una posizione di monopolio all’interno del settore economico di cui si occupava». E’ quanto ha affermato il procuratore capo di Caltanissetta, Amedeo Bertone, a margine della conferenza stampa nel corso della quale sono stati illustrati i dettagli dell’inchiesta denominata «Camaleonte» che ha permesso al Gico di Caltanissetta di eseguire, nell’ambito di un’operazione coordinata dalla Dda nissena, sette ordinanze cautelari, tre delle quali in carcere nei confronti dei fratelli Francesco e Salvatore Luca di Gela e del figlio di quest’ultimo, Rocco, accusati di concorso esterno in associazione mafiosa e riciclaggio. Indagati anche altri tre loro familiari e un dirigente della polizia di Stato che ha prestato servizio a Gela, Caltanissetta e Agrigento.

«Il ruolo del poliziotto – ha chiarito il procuratore Bertone – è stato quello di vivere una situazione di assoluta compromissione della funzione pubblica nel senso che il funzionario risponde di reati come quello di corruzione, rivelazione di segreti d’ufficio e accesso abusivo nella banca dati dello Sdi. A richiesta o spontaneamente forniva notizie su indagini in corso e in cambio riceveva vantaggi nel prestito a lungo termine di autovetture di grossa cilindrata oppure nell’acquisto di autovetture a prezzi assolutamente inferiori a quelli di mercato e qualche altro favore come la permanenza in alberghi. Le intercettazioni ci restituiscono l’immagine di un gruppo contiguo non solo con la mafia nissena ma anche catanese. In una conversazione telefonica, un componente della famiglia Luca parlando con un esponente mafioso catanese, nel manifestare tutta la sua rabbia per come era stata gestita una pratica, si lamentava e pretendeva il rispetto perché avrebbe fatto “girare” tutta la mafia di Catania, dava cioè macchine in prestito per sfuggire ad eventuali intercettazioni».

Durante l’operazione sono state eseguite diverse perquisizioni. Nell’abitazione di uno degli indagati, sono stati rinvenuti 56mila euro in contanti e diversi assegni postdatati. In passato la famiglia Luca, dopo aver subìto un provvedimento di sequestro dei propri beni, denunciò di essere vittima del pizzo. L’operazione è stata condotta grazie ai tradizionali metodi investigativi e alle dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia.

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Redazione
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