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La mafalda regina del sapore: meglio con la granita o con la mortadella?

Iventata (forse) da un panificatore catanese in onore della figlia del re è diventata un must della cucina siciliana

Carmelo Di Mauro

13 Aprile 2023, 16:02

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Nel vasto patrimonio gastronomico della Sicilia, il pane gioca un ruolo di primario interesse. È cultura, storia, tradizione, ma anche unico ed inimitabile sapore. Uno dei pani tradizionali più diffusi è il casereccio di grano duro, presente in Sicilia dalla fine del medioevo, lavorato con un impasto a bassa percentuale di acqua che gli garantisce un’elevata conservabilità.

Ma la panificazione è anche un’arte, nella forma e nel gusto. Basti la “mafalda”, nome che di solito richiama la mitica bambina della striscia a fumetti disegnata da Quino, ma in questo caso è legato alla principessa Mafalda, secondogenita di re Vittorio Emanuele III ed Elena di Montenegro. Sarebbe stato un maestro panificatore catanese a dedicare questo lievitato bianco, nei primi del Novecento, a Mafalda Maria Elisabetta Anna Romana di Savoia, considerata “buona come il pane”, morta tragicamente a soli 42 anni, durante la Seconda guerra mondiale, in un campo di concentramento nazista bombardato dagli alleati angloamericani.

E anche se esistono altre eccellenze che prendono il suo nome - una pasta campana che si presta ad essere condita con vari sughi di carne, e un dolce alla ricotta del Salento - resta sempre il pane siciliano l’eccellenza più conosciuta le cui origini, risalenti all’Ottocento, sono contese, come spesso accade in Sicilia, fra palermitani e catanesi.

Si pensa che siano stati gli arabi, comunque, a portare questa prelibatezza nell’Isola, dato l’impiego della ciciulena o giuggiulena (così viene chiamato il sesamo in Sicilia), ingrediente importante della cucina araba; ma non si sa con certezza dove abbia attecchito prima, se nel Palermitano, oppure nel Catanese.

La diatriba continua ancora oggi: se da una parte i palermitani rivendicano i natali delle mafalde, dall’altra i catanesi sposano un’altra tesi legata proprio all’origine del nome - Mafalda - che vuole che questo pane sia stato in realtà realizzato, come detto, alla fine dell’Ottocento da un catanese che l’ha poi dedicato alla Principessa.

Quali siano le sue origini, comunque, poco importa: oggi questo pane morbido, ma dalla crosta dorata e croccante, di sicuro è uno dei prodotti da forno più famosi che spesso segna i pasti di molti siciliani. Perché è perfetto da gustare farcito in mille modi diversi, dal salame e formaggio alla nutella. Ma la... morte sua è con la mortadella. In estate mafalda più granita è un binomio vincente.

C’è chi la preferisce accostata alla granita (e pure al gelato), al posto della brioche, specialmente se calda e appena sfornata. In un certo senso, un ritorno al passato, perché in Sicilia, prima che arrivasse la famosa brioche con il tuppo, la granita era servita con la mafaldina o, comunque, con un panino.

«Ogni volta che mangio una mafalda - ricorda Gaetano, un sessantenne ex studente del Ginnasio “Gulli & Pennisi” di Acireale, in fila davanti al bancone di un panificio - mi viene in mente quando prima di recarmi a scuola mi fermavo qui per acquistare la solita mafalda, per poi farmela farcire nella salumeria accanto con della mortadella. L’intento era quello di consumarla durante la ricreazione, ma la maggior parte delle volte non arrivava neanche a scuola…».

«Gli ingredienti fondamentali per realizzare la mafalda - ci spiega Giovanni Riolo, un panettiere catanese - sono farina di semola rimacinata, farina 0, malto o miele, semi di sesamo, lievito di birra, sale e acqua. I processi di lievitazione sono tre: realizzato il lievitino, si procede con l’amalgamare tutti gli ingredienti, formare un panetto e dare il via alla seconda lievitazione, per poi procedere con la formatura del pane. Un cilindro lungo circa 60 cm che dà vita ad una doppia S. Sovrapporre la parte finale del cordoncino al centro della mafalda e fissarlo all'altra estremità per poi essere il tutto ricoperto con semi di sesamo e procedere alla terza ed ultima lievitazione. Finisce in cottura nel forno per circa 30 minuti. Il risultato, una mafalda morbida e profumata».

A Palermo, invece, se ingredienti e procedura di realizzazione sono uguali, cambia spesso l’accostamento: la mafalda, ad esempio, viene usata per street food e servita insieme alle panelle, ma anche ad alimenti dolci. Esistono anche altre due forme che si possono ottenere con lo stesso tipo di impasto: gli Occhi di santa Lucia e la Corona. La pasta viene foggiata dando una curiosa forma a S, che dovrebbe formare gli occhi di Santa Lucia. Allo stesso modo, quando la parte superiore del panetto viene tagliato in due punti prima della cottura, va a formare la Corona; nei punti incisi, infatti, il pane si andrà ad aprire grazie al calore del forno, fino a disporsi con una forma a ventaglio.