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La preghiera del Designer

Di Luigi Patitucci |

“Ascoltatemi! Ascoltatemi!

Io sono un Designer in Generale e in Generale un Designer.

Io dono al mondo la bellezza delle cose utili.

Io sono pagato perché voi possiate vivere nel bello, nel comodo, nel soffice, nel funzionale, nel colorato, nell’allegro.

Io sono con voi alla ricerca dell’equilibrio e dell’armonia tra il bello artistico e il bello naturale.

Io vi arredo le città, le campagne, il paesaggio, le strade, i palazzi, le case, le stanze, i cessi, le cucine, i tavoli, le sedie, le forchette, i piatti, i cibi, le idee, i gusti, i pensieri, la cultura.

Io vi disegno.

(…) Io designer amo la natura e combatterò sino all’ultimo con tutte le mie forze per difendere l’azzurro dei cieli, il blu degli oceani, il verde dei prati, il bianco delle nevi, il rosso del tramonto.

E così facendo difendo voi, uomini, perché anche voi siete natura e vivete nutrendovi dei saporiti frutti degli orti, del latte delle pigre vacche brucanti le fresche radure.

Fate largo al designer.

(…) Lasciate a me la tecnologia che io saprò sfruttare perché possa essere utile e non dannosa. Affidate a me i vostri problemi, io li risolverò, io, io solo, e non fidatevi di nessun altro.”

Quello che avete appena letto, è il cosiddetto “Discorso del designer”, tratto dalla performance ”Designer in Generale”,  tenuta da Michele De Lucchi il 20 settembre 1973 presso la Triennale di Milano, che appunto, nel recente libro del noto designer dal titolo “I miei orribili e meravigliosi clienti” ( QuodLibet Habitat, 2015) viene preceduto da un titolo/manifesto in testa alla pagina:

‘Il tempo è il più grande artista di tutti i tempi’.

Ed è proprio questa frase, a mio avviso, ad assumere in sé tutte le connotazioni necessarie a delineare il Manifesto,  rivoluzionario e, certamente straniante in quegli anni, proposto da Michele De Lucchi.

Come accade nel mio lavoro, sin da quando io ricordi d’aver cominciato a fare questo mestiere dalle forti connotazioni sensuali, anche De Lucchi importa e considera l’Arte quale parametro di progetto, all’interno del suo personalissimo e rigoroso approccio di metodo, senza soggezione e remora alcuna nei confronti della vasta costellazione di parametri che concorrono alla definizione di un progetto che, non può essere soltanto il risultato della asettica risoluzione di determinate problematiche.

E lo è tanto più ai giorni nostri, immersi come siamo in uno scenario in cui le problematiche sono spesso indotte dai guru della Fiction Economy  e, sostenute da un sistema di comunicazione sofisticato, colto, instancabile e perpetuo, proprio dell’era digitale.

La Vita Pratica, espressione preziosa, portatrice sana della questione della necessità, indispensabile strumento di rilevamento ed analisi dello scenario caratteristico che compone e delinea il modus vivendi della utenza di ogni tempo, per ogni designer è cosa preziosa, dispositivo necessario per poter disporre un piano di solvimento di un problema di progetto, che è sempre figlio di due madri gelose ed ammalianti, la Madre della Necessità e la Madre del Sentimento.

Queste due Madri, ci guidano ed assistono in ogni momento della nostra vita, quando ci troviamo davanti la questione di dover scegliere di comprare quali e quanti oggetti d’uso, per i bisogni della nostra quotidianità.

Ed in questa scelta, senza ombra di dubbio, esercitiamo una dose di arbitrio che investe e coinvolge diverse questioni, diversi elementi: quanti di questi oggetti comprare, di quali colori, quali materiali, etc…

Insomma, non è solo la Madre della Necessità ad aiutarci, ma anche quella della Vanità.

Veniamo dunque mossi da due impulsi diversi e quest’ultimo, in maniera innegabile, è intimamente connesso a quello che siamo veramente.

E’ senz’altro una diretta conseguenza della manifestazione della nostra personalità, del nostro carattere, della nostra età.

E, come è noto, le necessità cambiano con il mutare delle nostre esigenze, strettamente in relazione con il mutare dello scenario ambientale che ci accoglie, che ci fa da sfondo, e che ci restituisce i parametri d’esercizio ottimali della nostra esistenza.

Mentre l’Arte, si sa, è per sempre.

E più è distante dalle questioni legate ad una utilità posta al servizio della necessità, più vale.

L’Arte inoltre, non smetterà mai di incuriosirci, di catturarci, proprio perché reca in sé i parametri necessari, e sensibili,atti a produrre in noi l’esercizio della riflessione e del piacere.

Per tale motivo, amo ed apprezzo i designer di ogni tempo che hanno accolto all’interno del proprio approccio di metodo, il pericoloso ,e spesso irrinunciabile, esercizio della cifra artistica quale parametro, detonante e catalizzatore, del loro operare.

Ed è questo che deve esibire una Mostra del Design di caratura internazionale, altrimenti è la Fuffa, un carrozzone edulcorato e lucente, dove la proposta è assente ed invisibile, e la fisionomia dell’evento, svuotato di senso, diviene l’unico contenuto esibito, messo in scena.

A ragione di ciò, nei prossimi articoli metterò in scena davanti ai vostri occhi tutta una serie di proposte, nate esclusivamente all’interno di alcuni Design Lab da me condotti, dove i giovani leoni del circo mediatico e rutilante del design aujourd’huy, per così dire, hanno avuto modo di perseguire traiettorie di produzione di soluzioni, elementi, e servizi, che sono meridiani e coinvolgenti, servendosi di oggetti estremamente seducenti, attrattori ed emittenti, in qualche misura irresistibili.

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