U Design
Fuck the Marketing!
Prima che questo libro potesse essere un libro, prima che fossero note le nostre identità ai numerosi detrattori, c’erano soltanto un designer instancabilmente curioso, ed un ex bocconiano redento, il cui unico obiettivo dichiaratomi era quello di poter diventare ricco e famoso. Si, per la prima volta avevo a che fare con qualcuno che non aveva nessuna voglia di utilizzare ‘quel piccolo qualcosa’ che gli avevano indotto, per poter ottenere un altro ‘piccolo qualcosa’, che gli potesse consentire di poter sbarcare il lunario, in maniera elegante e poco esaltante. Adesso avevo a che fare con qualcuno che voleva essere onnivoro, qualcuno che, come me, non voleva accontentarsi di ‘quel piccolo qualcosa’, qualcuno che voleva sapere tutto, consapevole di poterlo esibire, questo tutto. Volevamo crackare 'quel piccolo qualcosa', consapevoli che non ci avrebbe portato a poterci spostare in jet privato ‘quel piccolo qualcosa’, né che ci avrebbe consentito di poter aprire un conto anonimo alle Cayman, volevamo andare nella direzione opposta a quella trasgressione ordinaria consentita e, data in ostensione, negli asettici e sterilizzati templi delle istituzioni formative dell’accademia italiana.
Dunque, quella che era iniziata come un’avventura, è diventata poi una maratona, un dispositivo capace di poter testare i nostri parametri d’azione in ambito professionale e, non di meno, le nostre resistenze. Ed eravamo particolarmente eccitati, dall’idea di poter vaporizzare tutte quelle assurde, indigeribili, nozioni cui ci avevano agganciato a forza per anni, che però aveva prodotto in noi una invidiabile condizione fisica, abituati come eravamo a credere al potere taumaturgico di altre entità esterne alla nostra condizione di uditori, eravamo ora chiamati a scendere in campo, per immetterci, pitture di guerra in viso, nella dura e crudele, insostituibile e magica, realtà delle cose.
Abbiamo cominciato allora a confrontarci con la grandeur del Marketing e del Service Design, con icone inossidabili ed assetate di sangue, più che di danaro, e ci siamo dovuti immergere nel loro habitat naturale, per poterli sfidare.
In tale pratica, mi ha aiutato parecchio Piero Netti, con il suo ‘cervello Porno’, con la sua ingenua, pura, insolenza, quell’insolenza genuina di chi è sopravvissuto a scenari di guerra condotti con piglio da eroe romantico, nella becera quotidianità, facendomi subito capire che quel tempo e quel mondo, fatto tutto di bolle e belle ed incomprensibili parole, era già finito.
E da un pezzo.
Io intesi cominciare le mie sollecitazioni dal Merchandising, da quella mole ciclopica di elementi prodotti che gravita sui nostri scenari esistenziali, che in altri contesti avevo già denominato“Merchandelirium Design”. Nella vecchia, ed ormai anacronistica, lezione del Marketing, la prima definizione di Merchandising si ascrive proprio alla pratica di poter utilizzare un brand, o l'immagine di un prodotto noto, per poterne vendere un altro.
Energia di rimbalzo, in un certo senso.
Come alcune ineffabili, ed esatte, pratiche adottate dalla Natura nella modulazione delle energie necessarie ad alimentare un organismo vivente, che con fare distratto, soccombe allo smaltimento di una quota parte della sua energia, in favore di una azione predatoria compiuta da un altro essere vivente o, qualche volta, da una intera colonia di piccoli attori.
Azione parassitaria, senza dubbio, ma resa necessaria da questioni di equilibrio complessivo dei sistemi energetici.
Come quello che si vuol far credere alla utenza planetaria, coperta da una cascata inarrestabile di elementi rutilanti, sfavillanti, edulcoranti, che con moto perpetuo, lavora alla generazione di un moto apparente, dalla potenza di fuoco devastante, coinvolgente, travolgente, che fatica nella lotta di allontanamento della utenza da una condizione di normalità, da un triste tran tran, vissuto ogni giorno sempre più con disagio e misconoscimento, e che non realizza altro che una ossessiva riproduzione di se stesso. L’allontanamento dal fetore proveniente dalla realtà, dalla consapevolezza organolettica di non potersi trovare in un mondo altro, o in una strepitosa narrazione filmica, è sostenuto dalle frequenze caratteristiche della Fiction Economy, da tutta una serie di parametri indotti a forza nella nostra, squallida e limitata, realtà fisica, nella nostra quotidianità, attraverso regole assurde e proprietà algebriche pittoresche.
Alimento che trae alimento, da una malconcia eredità Dada, che ancora oggi continua a produrre, in tale ambito applicativo, servendosi dell’inesorabile potere conferitole dalla proprietà transitiva, nefasti effetti, cavalcando la pratica divinatoria e taumaturgica di Mida, e rendendoci portatori insani di qualità apparenti ed illusorie, attraverso l’adozione, l’accoglimento in noi, di elementi risonanti, opere d’arte ad orologeria, icone dolenti. Forti della questione algebrica fondata sulla efficacia della regola dell’acquisto di un affetto, che per il solo motivo di trovarsi in vendita, non dovrebbe recare in sé alcun dubbio sulla veridicità della sua efficacia, sulla qualità portante dell’elemento illusorio, capace di restituire potenziale energetico pari a quello posseduto da un affetto non comprato.
E forti pure di altre questioni energetiche, come quelle legate all’entropia, ed alla propagandata attività di erosione delle fisionomie e dell’equilibrio di ogni elemento che possa trovarsi a poter collidere con il nostro modus vivendi, di ogni oggetto anche debolmente interiorizzato, soltanto capace di immetterci nella traiettoria di un consumo irreversibile e breve, dalla vita corta, nel timore di poter subire chissà quali conseguenze dalla azione di svuotamento contagioso, proveniente da un oggetto scaduto, divenuto improvvisamente a così a basso contenuto calorico.
Portatori sani, del significato che la scienza attribuisce al termine ‘felicità’, quale capacità di adattamento continuo alle variazioni, alle mutazioni di un ambiente.
Insomma, si tratta di poter mettere a frutto la capacità combinatoria delle frequenze proprie della passione che coinvolge il momento creativo, con le esigenze feroci dell’esattezza del disegno del prodotto finito, concedendo persino all’utente la possibilità di poter controllare e seguire l’intero ciclo produttivo, ma dichiarando, con determinazione, un approccio al design imperniato tutto sulla matrice intuitiva, spesso generata dall’attrazione nei confronti dell’immateriale.
E’ chiaro, che vince chi muore con più giocattoli.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA