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Di Redazione |

C’è una cosa, che accomuna più di altre, la stagione delle rivolte urbane, che ha caratterizzato l’ultimo decennio della nostra era, ed è legata alla questione della riappropriazione fisica degli spazi pubblici.

Una questione che mette inevitabilmente in campo una dichiarazione forte e chiara che emerge dai suoi attori, una dichiarazione che passa, senza dubbio, attraverso una operazione di teatralizzazione dello spazio pubblico, ed è la riproposizione del concetto di cittadinanza inteso come presenza fisica nei luoghi d’appartenenza. Luoghi persino fortemente anonimi, affetti da una de-fisicizzazione e da una dis-incarnazione pressochè totale, portatori di una assenza cronica di dialettica tra gli elementi vitalizzanti della prossimità e dei transiti, sono divenuti inossidabili ed insostituibili, meravigliosi esempi d’esercizio di una contiguità capace di generare con efficacia il senso di un luogo, e che affonda la sua struttura genetica nei nobili esempi della polis greca e nelle continue modificazioni benefiche generatesi sino alle soglie del secondo dopoguerra del secolo scorso.

Una riconquista, che è recupero di valenze benefiche, persino mediche, taumaturgiche, se è vero che i nostri corpi sono il risultato di una operazione di modellazione continua, provocata dagli elementi costituenti il paesaggio che ne accoglie la nostra esistenza, definendone inesorabilmente il caratteristico modus vivendi: pensiamo soltanto per un attimo alla cifra espressiva della frazione corporea di chi vive a New York, o a Venezia, o ad Ortigia, l’antica Isola-Città di Siracusa, ed avremo con immediatezza percezione dell’esistenza di ritmi differenti d’esercizio, presenti nello scenario abitabile dei contesti territoriali da me indicati. Pensiero, che possiamo estendere, ad ogni contesto ambientale dell’intero pianeta, ricavandone, per conseguenza, una strepitosa e, preziosa, mappatura sensuale dei nostri ambiti territoriali.

Ed è quello che da qualche tempo impegna fortemente la disciplina del Design, accolta, invitata, importata, in ogni ambito disciplinare altro, e ad ogni latitudine del pianeta, quale espressione di una costellazione di pratiche e processi in grado di produrre reali, immediati, e concreti, benefici in ogni contesto di adesione.

Ho detto parecchie volte, e continuerò a ripeterlo sino allo sfinimento, che il Design, già da qualche tempo, non viene individuato più nella azione bislacca della figura divistica di turno, di chi ci concede la messa in scena o la imbarazzante mise en forme, della creazione dell’ennesimo cucchiaino di esclusivo pregio artistico, ma appartiene a coloro che si preoccupano di condividere problematiche complesse, individuate in numerosi ambiti settoriali, in diversi e variegati contesti ambientali, e dunque afferenti a molteplici ambiti disciplinari.

La disciplina urbanistica ha mostrato il suo ingombrante limite imperniato tutto su una modalità operativa sempre confinata nella grande scala, mentre la utenza urbana planetaria vede il mondo da una posizione di prossimità, da un punto di vista particolare, che trova piena assonanza nella pratica propria del Design, che alla visione anemica, asettica, e distante dell’urbanistica sostituisce una proposta fatta tutta di analisi continua degli elementi caratterizzanti e delle relative attività generative, mettendo in azione una questione applicativa efficace, che è imperniata tutta su parametri mutevoli di una realtà transitoria, operando una continua connessione tra la dimensione globale, universale, e quella locale, dell’ambito territoriale d’intervento.  

Bisognerà praticare la conservazione ed il restauro, degli ecosistemi e delle infrastrutture complesse, come categorie progettuali, attraverso le azioni taumaturgiche del curare, rigenerare, produrre, dando voce alla questione della sostenibilità, quale traiettoria salvifica nei confronti dei preziosi modelli tradizionali presenti in un contesto ambientale. Mi riferisco a ciò che determina la qualità nella nostra vita, a tutto tondo, in maniera diffusa, nella produzione di beni, nella diffusione dei servizi, nel mondo reale e virtuale, o nei molteplici piani di comprensione in cui si snoda ora mai la nostra quotidianità.

Ed è proprio quello che stanno mettendo in atto alcuni miei strepitosi, e pericolosi, amici con Design in Town, un format nato quattro edizioni addietro, che in questi giorni si è insediato amorevolmente, nella struttura del Vecchio Mercato della magica ed eterna Isola di Ortigia, producendo in maniera perpetua e continuata, moti propulsori di efficace e concreto coinvolgimento nei confronti dell’intera comunità territoriale, locale e turistica, con serie di eventi che coprono un intervallo di tempo pari alla durata dell’intera giornata, notte compresa, full time insomma, come accade nella rete.

Un’esperienza già collaudata nelle passate edizioni a Castelbuono, ed a Troia, dove la comunità dei designer coinvolti nella gestione e produzione dei processi atti ad accogliere le istanze locali opera, per così dire, ‘In House’, con modalità sciamaniche stringenti e tempi feroci, nella generazione di efficaci e avvincenti episodi di produzione di elementi e strumenti di riverberazione, imperniati tutti su elementi e luoghi portatori di una innegabile qualità impressa nella cifra identitaria locale.

Ho fatto parte, un decennio addietro, della squadra di fuoco, con adeguate pitture di guerra da incursore, di WOZ, un Laboratorio del Design itinerante e multiforme, che essenzialmente si occupava del recupero di alcune micropoli, nato da una felice intuizione del mio amico editore ed architetto Domenico Cogliandro.

E con lo stesso meccanismo siamo intervenuti in alcune realtà meridiane ai più sconosciute, realizzando spazi per la rigenerazione e la socializzazione con budget risicatissimi( ..nell’ordine dei 500 euro!), inventando Sagre e Balli che sono divenuti appuntamento fisso ed appetitoso; spot e cartoline postali, che recavano il segno indelebile di una cifra espressiva afferente alla comunità ed al contesto territoriale, unica e rara; costruendo vere e proprie opere di Land Art; riesumando antiche preesistenze, quali ritrovamenti archeologici o manufatti architettonici dimenticati, mettendoli in visione in maniera adeguata e permanente; e poi, arredo urbano, targhe per la toponomastica, segnaletica dedicata e, cosa strepitosa e sorprendente, un vivace e roboante Design Lab con i bambini di ogni luogo scelto, di anno in anno( Riace, Maletto, Ustica, Ballarò, lo Stretto di Messina, etc..), denominato WOZ Kidz.

È insomma, attraverso un organismo multiproteico e multiforme, come quello individuato nelle modalità di esercizio caratteristiche del Design, che si riesce a mettere in atto un meccanismo di analisi e di rilevamento, nonché di risoluzione delle problematiche individuate, che può, e deve, funzionare in maniera perpetua, restituendoci con continuità, la percezione benefica e confortante, della cifra risolutoria, individuata in questioni afferenti a problematiche concrete della nostra complessa quotidianità.

Andate dunque amici a divertirvi, ed a godere a pieno, in questi assolati giorni nell’insolito mare di agosto dell’isola di Ortigia, a Siracusa e,…. state molto attenti alle improvvise secchiate d’acqua.COPYRIGHT LASICILIA.IT © RIPRODUZIONE RISERVATA

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