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danza, il profumo

Di Luigi Patitucci |

-“Kenzo World, lo spot del nuovo profumo scuote il mercato della pubblicità”

-“3:48 minuti di vita bruciata. Quando è finito ho pensato: e quindi?”

-“E poi ti domandi: cosa mi aspettavo che facesse?”

Mi sembrano parole sufficienti, a spingermi a cercare di trovare le note necessarie, quale occasione per poter parlare di un’opera, quella abilmente confezionata dal regista Spike Jonzie, per la nota casa di moda Kenzo, per il lancio dell’essenza Kenzo World, previsto per il 2017, e diventata subito virale, dividendo l’utenza del circo mediatico in entusiasti demolitori ed esaltati promulgatori.

Le immagini si aprono su una noiosa cena di gala.

Una giovane donna, bella ed elegantissima, seduta al tavolo con gli altri allampanati commensali, comincia a sentire un ritmo muto, estraneo ed inesorabile, provenire come dall’interno del proprio corpo. E diventa via via sempre più insostenibile. Ed è a questo punto che l’attrice e ballerina Margaret Qualley, figlia di Andie MacDowell, non può far latro che assecondare l’onda d’urto, scatenandosi in danze frenetiche e sconclusionate, che sembrano urlare a squarciagola la immensa piacevolezza della ritrovata condizione di libertà. Il video, come dicevo, divenuto subito virale, della nuova essenza Kenzo World, girato dal regista Spike Jonzie, ha avuto il potere di catalizzare l’attenzione del pubblico come mai prima uno spot aveva fatto. O quasi.

Ma perché?

Beh, innanzitutto l’occhio dietro la macchina da presa è quello di Spike Jonzie, regista, sceneggiatore e produttore, autore di opere uniche e subito divenute icone memorabili della cinematografia contemporanea come Her, il ladro di orchidee e, Essere John Malkovich.

In secondo luogo, per la componente legata all’azione coreutica della protagonista che, una volta tanto non è una modella, firmata dal coreografo di Sia, Ryan Heffington.

E per la musica, che sostiene un ballo scomposto e vibrante, sulle note di un brano intitolato, non a caso, Mutant Brain, che è stata prodotta in collaborazione con i producers e dj Ape Drums e Assassin, dal duo composto da Sam Spiegel(fratello del regista) e, appunto, Ape Drums.

E’ un lavoro registico formidabile quello condotto da Spike jonzie, un concept figlio dell’era punk, che ha eroso lo strapotere ed il monopolio delle major, per diventarne, a distanza di trenta anni, una delle tante modalità d’esercizio di una ostensione, più o meno sacra, della merce.

Ecco, a mio avviso, tutto si gioca attorno alla scala di valore della sacralità realizzata dall’autore e, al mio paese viene riconosciuta istantaneamente, e viene chiamata Arte. Un prodotto, questo di Spike Jonzie, impregnato tutto di codici alternativi. Oggi, in un certo senso, quelli che erano considerati come approcci alternativi alla cultura, prima ingabbiata dai codici delle mode, sono divenuti prassi consolidata. Le origini possiamo inquadrarle nell’era Punk, con personaggi quali Vivienne Westwood e Malcom Mc Laren, che hanno aperto la strada verso il concetto di comunità, generando proiezioni in grado di assicurare modelli senza soluzione di continuità, tra elementi molto diversi tra loro, quali, un blog, un sistema di imbottiti, uno spot, un libro, un cd musicale. Si, ed è vero a tal punto, che ci sembra adesso di dover fare i conti costantemente con le regole ed i vizi feroci che la nostra, intima e perversa relazione, mai interrotta nelle ventiquattro ore della giornata di cui disponiamo, ci impone con l’intera comunità planetaria. Ma nell’azione coreutica dell’attrice vi è una costellazione di interpretazioni espressive che, guarda un po’, costituiscono la nostra matrice identitaria attuale, sempre mutevole, provvisoria, temporanea, mobile.

Come la realtà che ci circonda.

Le innumerevoli Trasformazioni/Apparizioni di Lady Gaga sono lì a ricordarcelo su Google, quale migliore traiettoria di identificazione con una realtà sempre più impermanente.

Ed il profumo??

Di esso non vi è alcuna traccia nel video. Ad un approccio superficiale, certamente, ma non è così. Sapientemente, l’autore dell’opera filmica, non ne ha messo in visione alcun elemento formale  costituente. Non vi è alcun riferimento se non nella scena finale, con il Grande Occhio, surreale e straniante, che sosterrà poi l’elemento di rivelazione mediante l’ostensione del packaging, quale migliore discrimine per produrre una fidelizzazione che è filiazione, per generare una scelta, che a quel punto ci apparirà scontata, dati gli alti valori di riconoscimento e di familiarità messi in gioco dall’opera. E poi, voglio dire, che il profumo sostiene, accompagna, genera ed amplifica ogni nostro gesto, comunque, e compone quella particolare sommatoria che è la nostra esclusiva identità. Messaggeri chimici, altro non sono che i profumi, capaci dunque di poter produrre in noi delle modifiche comportamentali. Ma, come ho scritto nella mia ultima opera editoriale sul Public Design(“Public Design Game. Design therapy for a lollipop community”, Malcor D, 2016, NdA), e come sostengono ormai in molti, la memoria olfattiva è registrata attraverso una percezione non lineare, dunque è capace di consentire un enorme sviluppo nella direzione atta ad identificare lo stato di un organismo, di una città, attraverso segnali, indicatori di stato, più che informazioni istantanee. L’esatto opposto della memoria di Google, che è una memoria illusoria, che non appartiene realmente alla nostra memoria, alla nostra storia. E sono tante le possibilità di intervento di cui disponiamo, basterebbe, giusto per fare un esempio, e come qualcuno ha già fatto, modificare il senso di marcia di una strada a scorrimento veicolare, per modificarne lo scorrimento del flusso d’aria e mitigarne l’inquinamento olfattivo. Il Paesaggio risonante di cui vado parlando da qualche tempo, , che dobbiamo generare nei nostri ambienti di vita, deve poter essere certamente un paesaggio olfattivamente orgasmico.

E devo dirvi, che sono contento ed orgoglioso, del fatto che il regista non abbia restituito alcuna visione diretta del prodotto, ma ne abbia messo in scena invece la sua anima, infondendole la vita, come in un’azione sciamanica.

Ed è quello che fa un artista, un designer, un vero autore.

L’Arte è operazione critica, mai didascalica!! E Carol Lin e Humberto Leon, direttori creativi di Kenzo dal 2011, al loro debutto nel mondo dei profumi, lo sanno bene. Considerato il fatto che a guidarci nella vita, vale di più il naso, piuttosto che la vista.

Ma, non state lì a preoccuparvi designPeople, anche qui, ad un certo punto, colpevole il mercato proprio della Fiction Economy, l’icona(seppur Punk) esploderà, e si dissolverà nel supermercato del preconfezionato.

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