«Può una pozza di fango che ribolle predire le eruzioni dell’Etna?» Così titola il filmato di Salvatore Allegra che National Geographic ha dedicato alle salinelle dei Cappuccini di Paternò. Il sito si trova fuori la cittadina celebre per i suoi panorami e il suo castello e deve il suo nome ad un’antica chiesa dei Frati cappuccini lì ubicata, poi abbandonata e ricostruita altrove.
IL VIDEO. L’interrogativo fondamentale è, appunto, la possibilità di una connessione tra i fenomeni eruttivi etnei e l’aumento dell’ebollizione di quelle che gli anglofoni chiamano “mud pools”, ossia piscine di fango, in grado di anticipare il vulcano siciliano. In realtà gli esperti negano che vi sia una coincidenza. Come spiegato da Guido Giordano, docente di geologia all’Università degli Studi di Roma Tre, non vi è alcun legame tra i due avvenimenti in quanto di origine differente. Per quanto riguarda le salinelle, l’ebollizione è frutto della pressione generata da gas come il metano e il biossido di carbonio, che riportano in superficie sedimenti di roccia liquefatta. La temperatura delle piscine non dovrebbe superare il 21°C ed è noto che i Romani le utilizzassero come stazioni termali, mentre gli Arabi prelevassero i fanghi per vari scopi.
LE REAZIONI. Numerosi i commenti su Facebook al filmato che ha suscitato l’interesse degli appassionati di scienza, dei curiosi, nonché degli abitanti di Paternò. Alcuni segnalano la presenza di luoghi simili in Romania, Indonesia e Nuova Zelanda. Scrive Vincenzo in inglese «Sono di Paternò e questo spettacolo è fantastico. Vi invito a visitarlo». In effetti, se da un lato, come dice Cristian, è una soddisfazione che anche National Geographic si occupi di Paternò, dall’altro Paolo aggiunge: «Ne ho sentito parlare, ma occorrerebbe dare più visibilità». Ed è sufficiente leggere alcune recensioni presenti su un conosciuto portale web di viaggi per scoprire che la zona non è del tutto valorizzata come merita: «Un luogo interessantissimo dove l’aspetto naturalistico si fonde con quello archeologico. – spiega Barbara – Una zona della città, però, difficile; sempre abbandonata a se stessa e poco valorizzata, seppur al centro dell’attenzione di studiosi internazionali».