Autenticità, semplicità e immediatezza. Quando si parla di papa Francesco, sono queste le tre parole che più soventemente vengono accostate alla capacità comunicativa del pontefice. Ma da cosa nasce la forza sociale di queste affermazioni? Se da un lato in questi anni Francesco è stato definito come un “Papa Pop”, conquistando copertine di riviste come Time e Rolling Stone, cosa rende così speciale il suo messaggio? Ne abbiamo parlato con monsignor Dario Edoardo Viganò, già direttore del Centro Televisivo Vaticano e dal 2015 prefetto della Segreteria per la comunicazione della Santa Sede, che abbiamo recentemente incontrato al dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Catania, dove ha tenuto una conferenza cui hanno preso parte anche i docenti Giuseppe Vecchio e Salvatore Aleo, monsignor Gaetano Zito ed Emiliano Abramo della Comunità di Sant’Egidio.
Cosa rende così straordinaria la comunicazione di papa Francesco e le sue prassi comunicative?
«La prima caratteristica è la sua capacità di trasformare l’ordinario in straordinario, compiendo ciò che i sociologi chiamano “evento trasformativo”. Questo elemento è stato chiaro fin dal momento in cui il Papa si è presentato per la prima volta a piazza San Pietro. Il suo saluto è lieve e se da un lato abbiamo uno spazio culturale degli italiani in cui si urla sempre di più, dall’altro il Pontefice si presenta con una parola sussurrata, che corrisponde a un’alternativa etica al rispondere al rumore con un rumore più forte. Il secondo aspetto viene invece dai “selfie”, che vanno inquadrati nella capacità del Papa di “riterritorializzare” il corpo. Non ci troviamo di fronte alla compiacenza narcisistica cui siamo abituati quando parliamo di questa pratica, bensì a un qualcosa che tende all’aggregazione. I selfie diventano allora gesti gioiosi di contatto e euforica incorporazione reciproca. La terza caratteristica compete invece un altro aspetto: l’assenza di un opponente nelle sue narrazioni».
In che senso?
«Quando il Papa parla del vangelo, rifugge sempre il linguaggio astratto, preferisce raccontare delle storie. Questo suo essere storyteller, tuttavia, si caratterizza per una struttura particolare. Se, infatti, secondo lo schema greimasiano, in una narrazione è sempre presente un protagonista, un comprimario e un opponente – che può essere reale o figurato -, quando il Papa racconta una storia suggerisce sempre di fare qualcosa ma non prevede mai né la figura dell’opponente, né che qualcuno possa assumere questo ruolo, determinando così un coinvolgimento importante in colui che ascolta».
Dopo aver diretto il Centro Televisivo Vaticano, dal 2015 lei è stato nominato da papa Francesco prefetto della Segreteria per la comunicazione. Come sta cambiando questo aspetto nelle politiche della Santa Sede?
«La riforma affonda le sue radici intorno al 2000, quando lo sviluppo del digitale iniziava a porre la necessità di forme di comunicazione diverse, pensate per il web, i social e così via. L’idea oggi è quella di ridisegnare un nuovo sistema comunicativo, che non sia un semplice prolungamento del vecchio o un coordinamento dei canali tradizionali. Stiamo lavorando a un portale unico nel quale le notizie nasceranno già multimediali, con testi, immagini, audiovisivi e podcast radiofonici».
«La segreteria per la comunicazione sta ridisegnando un nuovo sistema comunicativo, che non sia un semplice prolungamento del vecchio o un coordinamento dei canali tradizionali»
Qual è lo stato dell’arte di questo progetto?
«Il portale, che affiancherà la parte documentativa vatican.va, sarà operativo entro luglio con una prima versione in sei lingue, che nel tempo diventeranno 39. Per il resto, il “motu proprio” istituito da Francesco con lettera apostolica nel giugno 2015 prevedeva l’accorpamento di nove istituzioni. Molte di queste, come il servizio internet (diventato la direzione tecnologica) e il pontificio consiglio (divenuto la direzione pastorale) oggi fanno già parte della Segreteria, mentre stiamo lavorando per l’incorporazione della divisione editoriale: la Libreria Editrice Vaticana, la tipografia e l’Osservatore Romano».
Quando si parla della comunicazione di Francesco non si può non pensare ai viaggi che il Pontefice ha fatto, a partire da quello a Lampedusa immediatamente successivo al suo insediamento . Qual è il valore di questi viaggi, e cosa dobbiamo aspettarci dalla prossima visita in Egitto?
«Ritengo che il Papa decida i suoi viaggi grazie a una grande capacità di discernimento. In un certo senso è come se ogni volta accogliesse il sentire l’urgenza di andare in un posto come uomo di un vangelo di pace, prescindendo anche dal numero di cattolici. In Egitto, ad esempio, la comunità cattolica non è molto numerosa ma lui sa bene che si tratta di un viaggio molto importante per il suo valore ecumenico e interreligioso. Credo che il popolo egiziano – sia quello islamico, sia quello copto – voglia trovare nell’incontro con papa Francesco un momento comune per dire no alla violenza e sì alla pace».
«Nella scelta dei suoi viaggi Francesco ha una grande capacità di discernimento. Quello in Egitto avrà un valore molto importante sul piano ecumenico e interreligioso»
La chiave di questo viaggio sta quindi nella scelta di un paese in cui convivono religioni diverse?
«Il valore importante non è solo la convivenza intesa come reciproca sopportazione ma come integrazione di sguardi differenti. Il Papa non parla della sfera ma del prisma: ci può essere unità salvaguardando le differenze di ciascuno».
Da esperto di cinema e audiovisivi, qual è la sua personale opinione su “The Young Pope”, la serie di Sorrentino?
«È scritta molto bene, ma non credo si debba cercare, nella maniera più assoluta, in essa una struttura profetica del pontificato o della forza del sistema mediatico a servizio di un papa. La figura del pontefice è interessante: prima è cinico, arrogante, antipatico e dalla sua ha solo il fatto di essere piacione: è contradditorio, fuma ma allo stesso tempo è iper-tradizionalista. Alla fine però diventa quasi mistico, capace di fare miracoli. Credo sia un’operazione molto interessante, che porta a riflettere su ciò che è il potere di oggi nella società. Probabilmente la seconda stagione ci dirà di più».